Ex ospedale sant’Agostino, a Modena. Un suono, come di una frana, è tutto ciò che guida i miei passi lungo un corridoio piccolo, reso stretto dalle persone che condividono il mio stesso percorso. Il passaggio termina in una stanza senza luce, dove mi accoglie l’odore dell’incenso che brucia. È intenso, eppure stordisce appena. L’improvvisa immersione nel buio crea una strana sensazione di smarrimento. Sento la gente nella stanza, posso udirla bisbigliare, tuttavia è come se avesse perso ogni solidità e fossi da sola con l’unico appiglio che la stanza offre al mio sguardo: una tenda dorata, mossa leggermente. Solo quando i miei occhi si abituano all’oscurità riesco a distinguere i contorni di una sagoma dalle fattezze femminili. Non è un’ombra, il contrasto con la luminescenza emanata dal tessuto dorato dietro di lei le dona consistenza. Ferma, mantiene una posa fiera. Pochi momenti di attesa e la figura si muove, meccanica. I suoi passi non sembrano estranei al clangore metallico che li accompagna, e più la danza entra nel vivo, più diventa forte la sensazione che il suono non sia ciò che la muove, ma un suo effetto. Non ho mai visto la danzatrice nella stanza. Chi si muoveva e operava il suo incanto era il magio Baldassarre in tutta la sua potenza: un abile demiurgo, capace di trasformare una tenda in oro liquido e determinare ogni variazione di suono con il suo movimento. Persino la folla ha indietreggiato alla sua minima intenzione di avanzare. Dewey Dell sembra attingere la propria forza da un’energia primordiale, completamente asservita alla volontà di questi giovani ragazzi. Tutto ciò che rappresentano è un fedele ritratto, una raffigurazione suggestiva che non richiede di essere altro da sé stessa, e come tale essere ricordata. Forse è proprio per questo che la magia di Baldassarre non si esaurisce nei pochi minuti dedicati alla sua apparizione, ma è un’immagine concepita per radicarsi con prepotenza nella memoria.
Ida Basile
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