Dare un nome alle cose significa farle esistere e per esistere è necessaria creazione. Il poeta sa che nulla si può nominare invano, perché la poesia di bellezza si nutre quanto di sosta e di atto. Come la scena, anche il canto è impresa energica, fatta di efficacia e di rischio. Ce lo ha ricordato venerdì e sabato a Carpi Mariangela Gualtieri, poetessa e drammaturga del Teatro Valdoca, con il suo Portar bene costringendoci a cercarla, immaginarla e raggiungerla dalle porte serrate dell’ingresso del palazzo municipale fino a quelle socchiuse di una casa privata, ideale spazio di vicinanza che ci ha chiamati all’ascolto per unire quella sosta e quell’atto nel medesimo incontro. Una luce di lampada, un po’ di musica, un quaderno hanno scatenato le morbidezze e gli strazi di una voce poderosa, ora cullandoci, ora destandoci, ora piegandoci, inermi, alla parola mite che straripa.
I versi delle ultime raccolte Fuoco centrale, Senza polvere e senza peso e quelli di Paesaggio con fratello rotto, tratti dall’omonimo spettacolo, sono stati gli spunti per questo spostamento lirico dal dentro al fuori, dall’io al tu, dalla terra a noi. Uno spostamento benefico, quello della Gualtieri, che desidera essere innanzitutto scostamento dal furibondo di un presente violento e insensato, che esige cautela e guardia dal ridondante dell’informazione e della comunicazione quotidiana, spesso propugnatrice di atteggiamenti falsi e omologati come inibitrice del nostro farci presenza nel mondo. C’è bisogno qui e ora che la presenza recuperi e si recuperi e se tuttavia, sembra dirci Mariangela, la poesia non potrà mai farsi risolutrice dei mali certo è che se ogni poeta possiede urgenze e obblighi umani il primo di questi è assumere e farsi carico del suo proprio accumulo e condividerne la fitta. La poesia ci insegna a nominare quel che ancora non c’è per imparare a possederlo, per trovare nella parola il salutare di un bene che ha bisogno di farsi attuale. “Portare bene”, artifizio d’incanto, attua della poesia la missione semplice.
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