EDITORIALI > #2 Appunti dal teatro europeo: Zanouda, Stoev, Furlan, Belarus, Rimini Protokoll
Traiettorie e tensioni della scena europea. Vediamone alcune sostando sul primo week-end di Vie, osservatorio parziale ma affidabile di quanto si muove nel teatro del vecchio continente.
«Resta solo il testo», ci diceva chiacchierando il regista quarantenne francese Rachid Zanouda. Il suo Quai Ouest, così come La vie est une rêve di Galin Stoev, si sostanziano nella credibilità degli attori, e nell'autorevole visionarietà della regia che disegna l'ambiente della scena. Il regista è dunque chi si adopera affinché determinate parole possano essere oggi “dette”, perché persuaso che dietro a un testo esista una vita in grado di parlare al presente. Ma mentre la mano di Zanouda si cela nell'ombra di rigorosi dettagli (il movimento degli attori, intessuto attorno a una pedana centrale che ricorda la banchina di un molo; l'invenzione scenografica e luministica che sospinge i cambi scena tramite flussi di buio e luce, come fossero sequenze filmiche), Stoev punta con evidenza ad aggiornare il dettato calderoniano, incollando una scenografia novecentesca su un testo barocco. La sua mano “si vede”, il suo pensiero traspare, avvicinando tutta l'operazione all'ennesima interpretazione “critica” di un testo del passato.
Massimo Furlan, artista legato al circuito dell'arte contemporanea, ricostruisce un concorso canoro degli anni '70: travestito, impersona i concorrenti della kermesse. In 1973 conta tutto il “concetto”, l'idea che opera nel discorso dell'artista e che gradualmente soppianta l'azione a favore della riflessione. Nulla di male, non fosse per una trasporto emotivo che inesorabilmente scema: è lo stesso Furlan a chiosare il suo tentativo, quando afferma che la replica esatta è l'unico modo per preservare un desiderio ed evitare la nostalgia. Va da sé, quindi, che la seconda parte del lavoro perda in desiderio per virare verso una speculazione forse non del tutto originale, quando alla gara canora si sovrappone una conferenza sulla memoria con Marc Augé in persona a comparire sul palco.
In Europa ci si chiede quale sia il confine fra arte e “realtà”, elevando questioni sociali a nodi dell'indagine teatrale. Molti festival al centro del continente, i più quotati, da qualche tempo stanno intercettando artisti che riflettono su questi temi, forse in cerca di una maggiore presa dell'arte sul mondo. Così a Modena, sia quest'anno che il precedente, i Belarus Free Theatre sono stati ospiti largamente applauditi. Eurepica. Challenge pare un'operazione di mercato: nella metafora del volo di linea che attraversa il continente e osserva i paesi che sorvola, lo spettacolo sbozza le identità europee, sfiorando temi sociali e di costume, mirando a coinvolgere tramite un linguaggio diretto, chiaro e semplice. Vale qui un vecchio discorso: la “realtà”, anche la più cruda, una volta trasportata sul palco cambia pelle, diventa “altra”, per questo va rielaborata. I Belarus ne sono consapevoli, eppure non toccano mai quella complessità di linguaggio (scenotecnico e d'attore) in grado di farci “accettare” la pur dichiarata semplicità di contenuti, che in molti tratti è mera semplificazione.
Chi invece cela una rigorosa complessità dietro all'immediatezza della scena sono i Rimini Protokoll: Black Tie è il racconto di una ragazza adottata ora in cerca delle sue origini, in scena di fronte a noi apparentemente senza filtri. Si tratta davvero della sua storia, e i dettagli che elenca sono sul serio desunti dalla sua biografia. Basta però un data glove, che associa al movimento del braccio proiezioni digitali, per problematizzare il concetto stesso di identità: in uno schermo alle sue spalle si affastellano icone delle memoria, si aprono cassetti d'archivio di fotografie famigliari, compaiono video pop-up di mediatici ricongiugimenti. Come a dire che tutto è a disposizione, basta un click. Eppure nulla basta, perché tutto equivale a niente. Black Tie non si risolve e il finale non offre soluzioni, così smonta certezze moltiplicando dubbi, quello che oggi chiediamo all'arte.
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