Ritorna ospite di Vie Toshiki Okada, che con la sua compagnia chelfitsch presenta We Are the Undamaged Others, riflessione sul significato della felicità in una società volta alla mistificazione della realtà e alla limitazione della libertà. Con un linguaggio minimalista, il regista giapponese continua il lavoro sull’analisi della condizione odierna del Giappone, estendendo la riflessione al resto del mondo attraverso storie intime e mai banali. Protagonista è una coppia di novelli sposi apparentemente soddisfatta della propria routine, alle prese con i problemi della vita quotidiana. Questa serenità è solo una facciata illusoria della loro reale condizione: dai dialoghi e dalla gestualità esasperata emerge infatti un’ansietà di fondo, volutamente celata per costringersi a credere che l’equilibrio della loro convivenza non sia turbato. I personaggi creano così un mondo artificiale dove le vere gioie della vita sono sostituite da momenti asfittici. Con cordialità e disponibilità, il regista ha accolto le nostre domande nonostante il gap linguistico.
Okada, lei parla di “altri indenni”, ma chi sono gli altri e perché li definisce così?
Su questo problema c’è molta confusione in Giappone. Da noi abbiamo una netta divisione, accentuatasi soprattutto negli anni novanta con il boom economico, tra aristocrazia e ceto basso, la classe intermedia è poco considerata. Gli “altri” sono quella parte di società che sta nel mezzo, non sono ricchi ma neanche poveri e li ho definiti indenni perché è la loro condizione apparente. Il marcio esiste ma è nascosto e con We Are the Undamaged Others ho cercato di renderlo evidente.
C’è un legame tra il suo rendere visibile la realtà e il linguaggio iperrealistico della rappresentazione?
Sì, cerco di creare coerenza tra il linguaggio espressivo e le tematiche che affronto. Quindi la realtà che rappresento è senza filtri. Sfrutto al massimo la potenzialità del gesto e della parola, riducendo i dialoghi ed esasperando i movimenti. I miei personaggi sono soggetti a una trasformazione progressiva che si denota specialmente negli atti del corpo che però sono distaccati dal ritmo della drammaturgia.
Crede che sia possibile auspicare una trasformazione come quella dei suoi personaggi anche nella nostra società?
Ho parlato di trasformazione, cosa che non necessariamente va intesa come evoluzione positiva. Nella mia storia c’è una giovane coppia che vive in una nuova abitazione, la moglie è incinta. Questo è tutto ciò che la storia è veramente. Credo sia impossibile rispondere a certe grandi domande sulla vita quotidiana, e io non sto cercando di dare delle risposte, ma solo di porre nuove questioni. Onestamente, non so se oggi è possibile un miglioramento.
In una società dominata dalle apparenze, che ruolo hanno i mass-media?
Un ruolo decisivo. Questo è accaduto soprattutto in Europa dove, in modo più energico rispetto al Giappone, la loro azione è stata determinante. È una questione indipendente dal passato storico dei singoli paesi. C’è la tendenza comune ad evitare la realtà senza ammettere i propri disagi perché si ha paura. Nella quotidianità siamo portati a sorvolare sui momenti brutti perché abbiamo paura delle conseguenze. Preservare un'equilibrio anche a costo di ingannare se stessi è la cosa più facile da fare, la meno rischiosa. Questo impedisce di vivere intensamente e di essere felici.
Cos’è per lei la felicità?
La felicità è essere onesti. Prima di tutto verso se stessi. È amarsi mettendo se stessi prima della religione, della politica, del lavoro. È un atto di lealtà verso noi e il prossimo.
Anche se Okada non ipotizza margini di miglioramento, siamo talmente presi dalla sua gentilezza fatalmente contagiosa che è difficile non guardare al futuro con occhio speranzoso, pur sapendo che la realtà edulcorata del Giappone non è solo apparenza.
Ilaria de Lillo
COMPAGNIE