La compagnia Damasco Corner, formata da danzatori non vedenti e diretta da Virgilio Sieni, debutta a Vie con Atlante del Bianco. Ne abbiamo parlato con il coreografo.
Come nasce Damasco Corner?
Nel 2007 insieme alla compagnia ho intrapreso una ricerca artistica sulla dimensione sociale della danza, fondando a Firenze “l’Accademia sull’arte del gesto”. Si tratta di una serie di percorsi coordinati da me e condotti da diversi docenti e artisti, rivolti a diverse tipologie di destinatari: bambini, anziani, giovani danzatori e danzatori professionisti. All’interno di questo progetto, due anni fa ho iniziato a lavorare con alcuni ragazzi non vedenti che non avevano esperienze teatrali, ma condividevano il desiderio, direi quasi l’ardore, di creare un gruppo stabile con cui intraprendere lo studio del movimento. L’incontro con loro è avvenuto sul piano della poesia.
Due danzatori non vedenti comparivano già in “Oro”, spettacolo presentato l’anno scorso anche a Vie.
Come il precedente La natura delle cose, Oro era ispirato al De rerum natura. Nel libro IV Lucrezio dice che gli organi non sono stati creati per uno scopo ma creano l’uso che ne facciamo: ad esempio afferma che la visione non esisteva prima che venissero creati gli occhi. Nell’episodio cui fai riferimento, i due danzatori interpretavano questo concetto.
In Atlante del bianco invece gli interpreti, Giuseppe Comuniello e Filippa Tolaro, presentano un lavoro che è totalmente loro, a partire dall’elaborazione drammaturgica che non si sviluppa da un testo ma è fondata sul sentire.
Si tratta quindi di un importante momento di bilancio di questi due anni di lavoro e al contempo del debutto ufficiale della compagnia.
L’Atlante ha a che fare con lo spazio, il bianco è un colore - non colore. Qual è il legame tra questi due elementi?
La chiave è appunto l’atlante come forma di organizzazione spaziale. Per i non vedenti lo spazio è qualcosa da misurare e attraversare piuttosto che da osservare. Abbiamo quindi creato un percorso introspettivo su come misurare lo spazio attraverso il colore. Il bianco non è pensato come non colore ma piuttosto come dilatazione, cioè appunto in termini spaziali.
Come si può pensare un colore in assenza della vista?
Abbiamo lavorato su alcuni colori timbrici, definizione che gli storici dell’arte hanno derivato dalla musica e che si riferisce a degli scarti percettivi netti. Lo spettacolo si sviluppa come un percorso in quattro tappe, che parte dal bianco e arriva prima al blu, poi al rosso, per tornare infine al bianco. Questi colori sono delle fonti di ispirazione che vengono interpretati dai danzatori attraverso diverse qualità di movimento e diverse parti del corpo. Queste relazioni sono stati esplorate a livello emozionale e fisico nel corso degli esercizi preparatori. Per esempio hanno “sentito” il rosso come se potesse muovere in un certo modo la colonna vertebrale, il blu come se potesse agire in modo diverso sulle articolazioni.
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