Poco prima dell’ultima replica di Cheap Lecture e The Cow Piece incontriamo per qualche minuto, alla Galleria Civica, Jonathan Burrows, per la « Faster interview ever».
Come lavorate alla realizzazione dei vostri spettacoli?
Matteo Fargion e io abbiamo iniziato a collaborare nel 1998, e da allora abbiamo lavorato molto insieme. Ogni volta che cominciamo a preparare qualcosa di nuovo, la prima domanda che ci facciamo è sempre: «Cosa ancora non abbiamo fatto di quello che vogliamo fare? E se ancora non lo abbiamo fatto, perché? Di cosa avevamo paura?». Così proviamo a concentrarci su queste questioni. Il punto di partenza sono spesso partiture scritte da noi: ci dedichiamo poco all’improvvisazione e ci occupiamo poco dell’aspetto esteriore della performance. Cerchiamo invece di creare un buon metodo su cui lavorare, vedendo dove ci porta; alla fine verifichiamo come appare. È molto più interessante lavorare così piuttosto che lasciarsi limitare dall’immaginazione senza limiti.
Le vostre formazioni artistiche si differenziano molto tra di loro, tu sei un danzatore e Matteo Fargion è un compositore, ma sulla scena riuscite a farle dialogare in maniera molto efficace. Come stabilite un piano d’incontro?
In realtà cerchiamo di trascurare il più possibile le nostre differenti formazioni professionali. Non mi interessa Matteo come compositore, ma come artista. è significativo il fatto che replichiamo i nostri spettacoli molte volte: nell’arco di un anno portiamo i nostri spettacoli in circa quaranta città - a Modena abbiamo presentato la quarta e la quinta di cinque performance che sono ancora in repertorio. Quando si recita così spesso con un’altra persona si crea inevitabilmente una forte intesa che cresce ogni giorno di più.
Se mi chiedessi: «Di cosa parla questa piece?», risponderei che è un dialogo tra due esseri umani condiviso con il pubblico. Il nostro è un invito diretto agli spettatori perché partecipino con noi alla conversazione, quando riusciamo a coinvolgerli iniziano a riconoscersi, a sentirsi parte di un’esperienza comunicativa umana. Per questo l’umorismo è sempre presente nei nostri spettacoli. Al contrario della tragedia l’ironia non è mai presa troppo sul serio, però le relazioni umane la implicano continuamente: è un modo per rassicurarci l’un l’altro, per garantirci che non saremo aggressivi; con l’humor cerchiamo di eliminare l’aggressività dai nostri spettacoli. Lo bilanciamo con qualcosa di più serio, ma non lo eliminiamo mai. Può sembrare un approccio troppo leggero o superficiale, ma non siamo ossessionati dalla volontà di raggiungere qualcosa di profondo, e comunque non è l’assenza di umorismo che garantisce la profondità di uno spettacolo.
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