«Mesdames et Monsieurs bienvenues au Festival Eurovision de la Chanson!».
È il 7 aprile del 1973, la conduttrice dopo la sigla introduce il concorso canoro che vedrà 17 cantanti provenienti da tutta Europa sfidarsi a colpi di musica. E la gara ha inizio.
In realtà non è il 7 aprile del 1973, ma è Massimo Furlan che riporta il suo pubblico all’Eurovision de la Chanson ripercorrendo il cerimoniale del concorso, festival molto popolare negli anni settanta. La storia è spaccata in due blocchi: il primo focalizzato sulla gara e il secondo sulla riflessione. Nella fase iniziale Furlan è abile a trasformarsi e interpretare i concorrenti costringendo il pubblico a diventare parte attiva dello show, coinvolgendolo con l’applauso scaturito dal battito di mani percepibile in sottofondo. L'artista ricostruisce la narrazione e l’atmosfera anni settanta, nutrendosi di riferimenti e citazioni dal sapore ironico e satirico. Ma c’è dell’altro. Il concorso offre a Furlan la possibilità di parlare di cultura di massa e del ruolo dei media. Il lavoro, utilizzando la gara canora come aneddoto, è incentrato sulla memoria, e non si limita a ironizzare su un'epoca che vista ai giorni nostri può apparire ridondante e grottesca, ma analizza tematiche antropologiche. Non è casuale, dunque, la partecipazione speciale dell’antropologo francese Marc Augé, che s’inserisce nel discorso filosofico e si adatta al gioco scenico.
Quella che era una semplice gara musicale nella cultura popolare è diventata un rito che assume pure un certo fascino, se visto con gli occhi di un bambino, il bambino che Furlan era nel 1973. L’obiettivo di Furlan è rievocare un’epoca attraverso i ricordi personali, con una parentesi sulle forme di rappresentazione del passato. Come se stesse tenendo una conferenza Augé affronta il tema della memoria, intesa come operazione di selezione in cui l’oblio è il timore di dimenticare; la memoria è tuttavia un processo necessario che permette, attraverso l’esperienza personale, di ricordare solo determinati momenti del passato. Così, nella memoria del Furlan bambino che ha visto il festival in tv, molti dei cantanti sono rimasti nell’oblio; indelebile invece è il ricordo della partecipazione di Massimo Ranieri, il concorrente italiano della gara.
La singolare analisi del'artista italo-svizzero, tuttavia, si svolge in una divisione tra le due parti dello spettacolo che appare troppo netta: non vi è un continuum tra l’esilarante farsa dello show e l’intervista ad Augé. Il ritmo incalzante della gara canora va scemando man mano che vengono introdotte le argomentazioni filosofiche, così da vanificare il coinvolgimento iniziale suscitato con la kermesse, sfociando in uno spettacolo che avendo perso la carica vitale e ironia diventa monotono e impersonale.
Ilaria de Lillo
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