Pagina bianca. Silenzio. Immobilità. Jonathan Burrows e Matteo Fargion entrano in scena con occhi complici e divertiti prendendosi gioco delle aspettative del pubblico, tradendo l’ingombrante strumentazione evidente sul palco. Poi la mano alzata dà il là. Tutto si svolge lentamente, senso e parole si avvitano su se stesse, seguendo le note registrate di un falso Schubert, mentre il pianoforte sul palco tace. Le voci iniziano il monologo. «Il senso sorge nella pausa tra un pensiero e l’altro»; così i silenzi spezzano le parole in suoni dai ritmi sincopati e, sullo schermo, quelle proiettate annegano nel bianco dello spazio interlineare.
La Cheap Lecture presentata alla Galleria Civica richiama già nel titolo due lavori di John Cage: il testo trae ispirazione dalla Lecture on Nothing, mentre Cheap Imitation – gioco di imitazioni e variazioni – giustifica le modalità con cui i due autori hanno apportato differenze al testo originale. Se la danza corporea è azzerata, i movimenti si traducono in suoni, le coreografie sono fatte di parole. L’invito è di abbandonarsi al flusso ritmato, ma le frasi si compongono di senso, sillaba dopo sillaba, in un metalinguismo ironico che coinvolge nello stesso circolo estetico palco e platea.
L’humor guida anche le dinamiche di The Cow Piece: una riflessione sulla mortalità condotta tramite dodici mucche di plastica al pascolo su verdi cattedre. Burrows e Fargion, occhio al metronomo, ritmano filastrocche, elenchi e canzoni popolari con diversi organetti, una lattina e le mucche stesse. L’oscura signora si mostra nella commedia di quei bovini che a volte non sembrano altri che grotteschi alter ego dei migliori protagonisti del melodramma.
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