In Black Tie il gruppo Rimini Protokoll dà la parola a Miriam Jung Min Stein, giovane coreana adottata da una famiglia tedesca negli anni Settanta che da adulta è andata alla ricerca delle proprie origini, partendo dai pochi indizi disponibili.
Miriam racconta la sua storia in prima persona, accompagnata da un musicista e da una ragazza che è contemporaneamente se stessa e quello che la protagonista sarebbe potuta diventare crescendo in Corea. Utilizzando uno scanner, un proiettore e un guanto con sensore ottico (data glove) che sposta documenti, fotografie e video su uno schermo, Miriam parla guardando in faccia il pubblico, senza dilungarsi su cosa significhi crescere sentendosi estranei a se stessi prima che agli altri. Il suo racconto si trasforma presto in un pacato ma deciso atto d’accusa alla coscienza sporca dell’occidente, che attraverso caritatevoli business si autoassolve dalle proprie responsabilità verso i paesi meno fortunati. Black Tie pone domande scomode ma ineludibili sulle conseguenze di azioni che crediamo buone, sul ruolo dei media e delle Ong, su cosa determini l’identità di una persona. Fino a toccare il business dell’analisi del DNA per corrispondenza a cui ricorrono molti figli adottivi, sperando di scoprire chi sono davvero.
Vega Partesotti