Rinasce in primavera l'ottava edizione del Festival, prodotto da Emilia Romagna Teatro Fondazione. Il programma di quest'anno ravviva l'attenzione verso il teatro contemporaneo: Pietro Valenti, direttore di Vie e di Ert, ci presenta le sue scelte.
Ci sembra di leggere, nella programmazione di Vie 2012, una particolare attenzione alla danza e allo studio del corpo. Qual è il disegno che lega gli spettacoli proposti?
Sono le relazioni con gli artisti a dar vita alle scelte che compongono il programma. Una delle peculiarità di Vie è proprio la mancanza di un tema portante che attraversa gli spettacoli. Il pubblico è composto da spettatori competenti, cresciuti insieme al Festival, alle stagioni dello Storchi e delle Passioni. Di fronte a determinate scelte dobbiamo mantenere una certa continuità di lavoro. Anche per questo proponiamo artisti coi quali collaboriamo da tempo come Eimuntas Nekrošius e Danio Manfredini, già presenti nelle stagioni e nelle edizioni di questi anni. In linea generale, però, credo che qualunque tipo di spettatore possa assistere a ciò che offre il teatro del presente, la sperimentazione e la contemporaneità sono fruibili da tutti. È compito dei direttori uscire da quella staticità che in qualche modo imbalsama l’offerta, non esistono barriere tra il pubblico e gli artisti. Vie non vuole ghettizzarsi nel teatro di ricerca, ma include opere che sono un’integrazione della stagione teatrale modenese: Mariti di Ivo Van Hove e la Divina commedia di Nekrošius sono inseriti nell’abbonamento dello Storchi.
Vie si svolge contemporaneamente alla chiusura della stagione teatrale. Quali saranno le altre novità di quest'edizione?
Modena ha un pubblico che evolve e cambia. Credo sia fondamentale dare allo spettatore la più vasta offerta possibie, al passo con la trasformazione e l'evoluzione continua del teatro italiano ed europeo. Oggi la strada da seguire è quella dell’integrazione con altre dimensioni; è indispensabile avere una programmazione ad ampio respiro che prenda contatto con nuove forme di espressione, come la musica e il cinema. Non ci si può isolare, ma bisogna essere continuamente in ascolto. Quest’anno ad esempio tentiamo una collaborazione con il progetto musicale NODE: Kreng con Arcanum e Bellows di Giuseppe Ielasi e Nicola Ratti. Anche la rassegna CODA - Teatri del presente porta un grande rinnovamento, permettendoci di presentare quattro giovani compagnie dell'Emilia-Romagna. Il Festival è frutto di incontri, come quello con Dino Mustafić, artista bosniaco che debutterà con Patriotic Hypermarket a Vignola, mentre grazie al Progetto Prospero siamo riusciti ad avere un debutto italiano di Ivo van Hove.
Quali sono le prospettive di Vie per i prossimi anni?
Il futuro di Vie è legato alla situazione economica che stiamo vivendo; sarà Ert a decidere come il Festival potrà proseguire. In questo momento infatti ci sono imposte scelte legate alle esigenze contingenti: quando è stato necessario fare dei tagli abbiamo scelto di non sacrificare la produzione presente al Teatro delle Passioni, che propone spettacoli di sperimentazione in linea con il panorama europeo. Vie è un festival che ci appartiene proprio perché dà spazio alla ricerca contemporanea e non ha esaurito la sua spinta e le sue risorse, ma resta in continuo divenire, è una complessità che va costruendosi nel tempo. Oggi si avverte l’esigenza di misurarsi con un panorama internazionale ampio e diversificato. Una delle prerogative rimane quella di coinvolgere in modo diverso e più attivo la città; riteniamo per esempio indispensabile avvicinarci alle scuole così da permettere ai ragazzi di conoscere il tessuto teatrale. Vie è un'unica tappa: un accumulo di sensazioni, di incontri, di spettacoli e di possibilità di confrontarsi con realtà diverse. Il Festival è un progetto nato all'interno del Teatro Stabile Regionale, dato abbastanza raro a cui siamo arrivati attraverso un lungo percorso e che sarebbe sbagliato interrompere adesso.
Questa regione è sempre stata ricca dal punto di vista dell’offerta teatrale e continua ad esserlo. Che cosa manca a suo parere?
La situazione regionale è molto complessa, perché le strutture e le realtà creative sono molto frammentate. È importante fornire l’opportunità di scelta tra un ampio panorama di proposte e uscire alla scoperto senza cristallizzare il teatro all’interno di una staticità priva di innovazioni. Mi aspetto un cambiamento a partire dalle proposte che provengono dal capoluogo della regione. La situazione economica, come ben sappiamo, non è favorevole, ma in ogni caso bisogna cercare di non accontentarsi. Sopravvivere per non morire è un modo sbagliato di spendere le energie e le risorse che abbiamo.
Una domanda più personale: come si è avvicinato al teatro in prima persona e come è nata questa passione?
L’incontro col teatro è iniziato grazie a illustri maestri e tanti incontri fortunati. Sono un operatore e non un artista, ma credo che due cose siano state fondamentali per lavorare in questo ambiente: la curiosità e la passione che in questi anni mi hanno accompagnato. Mi sono laureato con una tesi attinente al teatro e alla sua organizzazione, ma poi ho incontrato tanti artisti importanti come Eugenio Barba, Bob Wilson, Jerzy Grotowski, Peter Brook, Thierry Salmon.
Credo sia necessario non accontentarsi mai e cercare di ascoltare il più possibile gli altri, perché è in questo modo che si impara. Devo dire che dopo tanti anni il teatro diventa anche un po’ una malattia, non saprei spiegare questa passione in altro modo.
Martina Galvani
Laboratorio "Per uno spettatore critico", Vie 2012