Alcol, violenza sulle donne e sessualità più fantasticata che compiuta: questi sono gli ingredienti che caratterizzano l'universo maschile, gretto e insoddisfatto, portato in scena da Ivo van Hove. Il regista, di origine belga ma attivo ad Amsterdam, arriva per la prima volta in Italia e presenta al teatro Storchi di Modena il suo ultimo lavoro, Mariti, tratto dall'omonima pellicola del cineasta americano John Cassavetes.
Sulla scena, una donna vestita a lutto piange silenziosamente, mentre un sacerdote ottempera alla funzione funebre con un discorso di circostanza e la proiezione su uno schermo posto sul fondo mostra tre uomini di mezza età che camminano tra le tombe di un cimitero. Gli stessi personaggi compaiono quindi sul palco dove, grazie a due pareti rotabili, viene ricreato uno spazio mentale non naturalistico, capace di unire ambienti diversi sfruttati in vario modo in base alle esigenze drammaturgiche: camera d'albergo, bagno o piccola palestra.
Dopo il funerale, la narrazione procede per salti cronologici attraverso l'utilizzo di flashback e avvalendosi delle ellissi tipiche del montaggio cinematografico, senza dare allo spettatore gli elementi per afferrare appieno i passaggi da un quadro all'altro, interrompendo i dialoghi dei protagonisti sulla loro frustrante routine quotidiana con un episodio di violenza domestica che sfocia improvvisamente nella decisione di partire per un week end di evasione a Londra. Questi espedienti, difficili da trasporre in scena, creano un ibrido tra un teatro di prosa tradizionale e una ricerca dei tempi scenici che mina la coerenza del linguaggio utilizzato e ne complica la fruizione.
L'artista, inoltre, cerca di coniugare il linguaggio teatrale con quello filmico accostando le azioni degli interpreti alle immagini registrate dagli attori stessi grazie a piccole videocamere attaccate alla tempia di ognuno e riproposte al pubblico in diretta per mezzo di uno schermo centrale e di un monitor installato su una delle pareti. Lo spettatore può in questo modo fruire di una visione prismatica e insolita dello spazio, ma tale operazione rischia di apparire una soluzione estetica fine a se stessa e priva di qualsiasi pensiero critico a essa sotteso: la visione in soggettiva proposta dal filmato infatti, oltre che distogliere l'attenzione su quanto avviene in scena, non riesce ad aggiungere nulla a ciò che si potrebbe cogliere attraverso la sola fruizione dal vivo.
I quarant'anni che separano il film di Cassavetes dalla rilettura teatrale di van Hove rendono anacronistico il testo; questo infatti non è più in grado di rispecchiare fedelmente una società che dall'inizio degli anni Settanta ad oggi ha subito un'innegabile evoluzione culturale.
Mariti, in cartellone a Vie grazie al progetto europeo Prospero, rappresenta tuttavia la rara possibilità di conoscere la personalità artistica di un regista affermato all'estero che le condizioni del mercato culturale italiano non permetterebbero altrimenti di vedere.
Andrea Massironi
Laboratorio "Per uno spettatore critico", Vie 2012