Tres dedos abaixo do joelho della compagnia portoghese O Mundo Perfeito è stato ospitato in numerosi festival europei. Ricostruendo l'opera della censura ai tempi della dittatura salazarista, in cui «nessun taglio deve essere percepibile al pubblico», l'ensemble diretto da Tiago Rodrigues costruisce un collage di scene abbozzate e di rappresentazioni accennate, nel quale il confine fra direttiva del censore, reazioni degli artisti dell'epoca e commento odierno gradualmente sfuma. Abbiamo incontrato il regista Tiago Rodrigues che ci ha raccontato il percorso dello spettacolo.
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Come è nato Tres dedos abaixo do joelho?
Nel 2005 ho letto sul giornale che una dell’Archivio della Censura del teatro era stato reso disponibile, così ho pensato alla possibilità di creare un’opera sul tema della censura teatrale durante il regime salazarista. Ogni volta che decido di affrontare un determinato argomento ho l’abitudine di studiarlo approfonditamente. In questo caso mi sono recato all’Archivio, diventato facilmente accessibile, per iniziare le ricerche. Un pomeriggio, mentre ero a leggere dei documenti, ho trovato anche alcune lettere inviate agli artisti, in cui si indicavano i tagli da eseguire sui testi, e dei manoscritti di opere originali rifiutate, occultate o proibite nei 48 anni di dittatura in Portogallo, tra il 1926 e il 1974. L’aspetto più interessante è stato capire il pensiero di alcuni censori, le loro ragioni e soprattutto scoprire che dalle loro relazioni emergeva un grande inno, un elogio, un’apologia del teatro, che veniva ritenuto di cruciale importanza per la società. Per questo motivo, in Tres dedos abaixo do joelho, ho trasformato quei censori in "drammaturghi" e "autori" e ho deciso che loro stessi dovessero affermare che il teatro è importante, pericoloso, contagioso, che può cambiare le persone e la mentalità delle città. In definitiva, lo spettacolo è una grande lettera d’amore al teatro: abbiamo convertito quello che storicamente è stato un processo di aggressione al teatro e alla libertà artistica nel suo contrario.
Abbiamo letto in sue interviste che lo spettacolo mostrerebbe in controluce una intenzione di critica al teatro nostro contemporaneo. In un periodo di libertà totale apparente, altre limitazioni incombono sulla creazione, rendendo il teatro di oggi paradossalmente meno libero di quello che lei racconta...
Come già detto, nelle relazioni dei censori mi ha incuriosito molto comprendere tutto ciò che si pensava sulle opere, non solo sui testi ma anche sulla messa in scena, sulle luci, sui costumi, sulla scenografia. È vero che si trattava di critiche dotate di potere esecutivo, eppure la censura andava a colpire l’azione, non il pensiero. Pur non potendo condividere l'idea stessa della censura, mi sono trovato d’accordo con alcuni rilievi mossi dai censori. Nello spettacolo, quindi, anziché muovere una critica diretta al teatro di oggi, tento di stimolare il pubblico a riflettere sul teatro che ci circonda, attraverso un collage che dal passato credo riesca a parlarci del presente, delle "censure" molto meno visibili di tutti i giorni. Ma, ripeto, non troverete nulla di diretto nel lavoro, quello che conta davvero sono le considerazioni degli spettatori. In Portogallo oggi la censura non esiste, viviamo in una democrazia, però il pensiero che la muoveva continua a essere presente, direi in tutte le democrazie occidentali.
Lo spettacolo ci è apparso in bilico fra rappresentazione e documentario, indeciso fra trasportare lo spettatore "dentro" ai fatti o allontanarlo...
A Castelfranco Emilia (lo spettacolo era in replica al Teatro Dadà, ndr) ho notato poco movimento nel pubblico rispetto alle rappresentazioni fatte a Bruxelles, a Lisbona, a Helsinki, ma credo sia stata colpa dell’ora tarda e del poco pubblico in sala. In genere lo spettacolo ha creato una relazione molto stretta con lo spettatore, in linea con i nostri desideri. Non mi interessa creare un effetto straniante, anche se ho il sospetto che a volte questo si produca a causa di una forma non molto riconoscibile, che gioca in continuazione tra le convenzioni del teatro documentale e gli stili del teatro rappresentato. Se chi guarda non crea un proprio percorso anche di riflessione a partire da quello che vede si crea una distanza, è vero, il rischio c'è.
Qual è l’impatto sul pubblico portoghese? E all’estero?
La reazione degli spettatori è mutevole, cambia in base alla sala e alle scelte degli attori, la cui partitura è rigorosa ma aperta a variazioni. La mia compagnia, O Mundo Perfeito, lavora da 10 anni e Tres dedos abaixo do joelho è l’opera probabilmente che è stata meglio accolta del nostro percorso. In Portogallo abbiamo ricevuto dalla SPA (Società Portoghese degli Autori) il premio come miglior spettacolo teatrale. I portoghesi hanno attraversato lo spettacolo in modo molto emozionale, come la celebre attrice Carmen Dolores, da noi menzionata per aver cercato invano di mettere in scena Andorra di Max Frisch, che dopo aver assistito allo spettacolo ci ha confidato di aver compreso perché non le avessero mai permesso di rappresentare il testo. Prima di oggi gli artisti non erano in grado di comprendere i motivi della censura, dal momento che le relazioni erano segrete. Ecco perché Tres dedos abaixo do joelho è tanto emozionante per il mondo del teatro portoghese.
Sul sito della sua compagnia leggiamo che cercate di reinventarvi continuamente, in che modo?
Reinventarsi permanentemente non è un valore, la differenza per la differenza o l’originalità contano poco. Reinventarsi permanentemente è la libertà di fare, è l’attenzione che devi avere per non lavorare sempre nello stesso modo. Ogni nostra creazione è un processo: all’inizio pensiamo a come realizzare l’opera e ci interroghiamo sui nostri costumi, sui nostri dogmi, su ciò che vogliamo mettere in scena e sul "perché". È un po’come cucinare con tutti gli ingredienti ma combinandoli ogni volta in modo diverso: ci sono sempre la scrittura, le prove, la discussione con gli attori ma il loro ordine non è mai lo stesso.
Un altro aspetto che ci ha colpito leggendo le vostre dichiarazioni, è quando affermate di volere «combattere il male». State parlando della crisi che attraversiamo tutti?
Cercare di combattere il male è un po’ come il nome della compagnia O Mundo perfeito. Ironia e cinismo, con anche un lato naif, ingenuo, ottimista. Venendo alla crisi, dopo questi 10 anni di lavoro sento che la creazione artistica in Portogallo non vive in un ambiente molto favorevole. Mi riferisco alle condizioni di lavoro, dei continui tagli alla cultura. Noi sopravviviamo grazie alla circuitazione internazionale. Tuttavia credo che la crisi abbia a che fare con il ventesimo secolo, quella economica attuale è solo un piccolo aspetto. In Portogallo la cultura è in crisi da molto tempo, da decenni direi, e spesso gli attacchi alla cultura non sono che la manifestazione di una ideologia pià complessiva e che si maschera dietro alla scarsità di risorse.
A cura di Sonia Logiurato
Laboratorio "Per uno spettatore critico", Vie Festival 2013