Da un lato la polvere, simbolo del terremoto che frantuma case e famiglie, che schiaccia le persone con il peso dei suoi morti per poi riempirle con un senso di vuoto. Dall’altro l’acqua, la vita che continua e si ripete ciclicamente come le onde del mare, prodotto di fratture che sconvolgono ma contribuiscono allo sviluppo delle persone.
Se rompen las olas di Lagartijas Tiradas al Sol si apre rievocando la storia del terremoto del 1985 a Città del Messico. Il notiziario interrottosi in diretta televisiva è solo il primo di una serie di documenti reali come foto, video, interviste e musiche che accompagnano e fanno da sfondo al racconto di Mariana Silva Villegas. La ragazza, unica presenza sul palco, guida gli spettatori nel processo di ricerca della propria identità scavando nella sua biografia e in quella dei suoi genitori. La sua è una storia che si intreccia continuamente con quella del Messico di cui è riflesso e conseguenza. Il suo ruolo di narratrice-attrice si confonde così con quello di protagonista e testimone indiretta degli eventi, attribuendole grande forza espressiva e legittimando l’esistenza stessa della performance. Questa visione, se pur molto personale, conserva però un certo distacco dalla tragicità degli eventi grazie ai toni spesso dissacranti e crudi, schietti e vividi della narrazione: Mariana balla in discoteca il tema del terremoto (la canzone Donde te agarrò el temblor), ride del ritrovamento dei cadaveri della famiglia di suo padre e ringrazia il terremoto senza il quale, molto probabilmente, non sarebbe nata. Non c’è pudore nel suo atteggiamento, né filtri etici, morali, religiosi o politici, solo la necessità di esprimere le emozioni intime ed intense del proprio vissuto.
Le questioni trattate sono tante e tra queste risaltano il rapporto con i genitori (tra la necessità di una famiglia unita e il complesso di Elettra), i sogni infantili che si scontrano con la realtà, il sopravvivere alla tragedia, la scelta di fuggire o di soccombere di fronte ad eventi di forza maggiore, la solitudine e la solidarietà nel dolore, ma soprattutto la complessità della realtà e l’impossibilità di ricostruire la propria identità attraverso la rilettura di un passato che si ignora. Le informazioni obiettive proiettate sullo schermo, infatti, non bastano a creare una visione univoca della Storia, personale o collettiva che sia, Storia che risulta tanto complessa quanto l’identità stessa delle persone.
La protagonista mette in campo allora tutta la sua immaginazione, mescolando fantasia e realtà, dando sfogo ai propri desideri e confondendo il pubblico. Diventa così compito degli spettatori cercare di dipanare la matassa delle versioni continuamente contraddittorie di Mariana per risalire ad una verità in fondo impossibile da comprovare. Fondamentale è il ruolo della scenografia che al primo impatto appare disordinata e affollata da oggetti infantili e quotidiani, ma che si rivela poi ricca di potenzialità. Bastano pochi e semplici elementi, infatti: sabbia, acqua, un palloncino nascosto nel costume, un paio di orecchini, una lettera o un secchio per trasformare il palco da stanza infantile a spiaggia, da discoteca a strada devastata dalle macerie. Il tutto senza l’intervento di tecnici di scena. È l’attrice di volta in volta e con grande disinvoltura a modificare il paesaggio intorno a sé, con il supporto di una regia collettiva che è sempre molto attenta e pronta ad intervenire con stimoli sonori e visivi, sorprendendo e talvolta disorientando il pubblico.
Se rompen las olas è uno spettacolo che riesce a fondere in modo originale e dinamico autobiografia e Storia, che vuole stimolare il pensiero critico dello spettatore e che con il suo approccio all'esistenza (caratteristico di una certa cultura sudamericana?) invita ad accettare e riconoscere il dolore e la sofferenza come componenti determinanti nella vita umana.
Alessia Rosa Avallone
Laboratorio "Per uno uno spettatore critico" Vie 2013