Musicisti e ballerini come guerrieri. Lo spettacolo della compagnia Baninga racconta il Congo con una raffica di danze tremanti, percussioni e suoni elettrici, con l’intento di dare una risposta a un paese che chiede aiuto, tormentato dalla guerra civile. In una realtà in cui si conoscono più defunti che sopravvissuti, l’unica speranza sembra essere quella di ripartire dall’arte e abbandonare le armi.
DeLaVallet Bidiefono, anche musicista e percussionista, è stato ospite a Modena come coreografo e ideatore di Au-delà, performance andata in scena al Teatro Storchi. Originario del Congo, è da anni impegnato nella promozione della danza africana contemporanea, favorendo dai primi anni Ottanta l’evoluzione delle danze popolari del suo paese, con l’obiettivo di creare una disciplina autonoma che continui a ispirarsi alla tradizione, un’arte in grado di «esplorare il rapporto con la terra, il radicamento e la spinta verso l'alto». La sua sperimentazione intreccia stili diversi, mescola influenze e culture di tutto il mondo che confluiscono nelle sue performance. Lavora sul significato del movimento, sfruttando la sua materialità originaria e neutrale con la convinzione di potersi congiungere con l’Aldilà. I corpi e le voci sono considerati canali di una vita ultraterrena, capaci di evocare le morti della Repubblica del Congo, in una sorta di rielaborazione del lutto collettiva.
Da dove nasce l’idea dello spettacolo Au-delà?
Questa pièce è nata in un periodo in cui il mio paese era afflitto dalla guerra (la guerra civile nella Repubblica del Congo, ndr) e nasce quindi dall’idea della morte. Il conflitto mi ha molto ispirato, mi ha indotto a riflettere, a osservare che la morte fa parte del nostro quotidiano in maniera costante, e questo non possiamo dimenticarlo. È straordinaria la morte, ti parla, è poesia. Mentre in Francia e in tutto l’Occidente è considerata quasi un tabù, per noi è un momento di festa in cui tutti i famigliari e gli amici condividono il passaggio del defunto in un altro mondo. Si festeggia con tanti balli, canti e si bevono numerosi boccali di birra. Con la danza le persone si riposano dalle brutture della vita: miseria, guerra, dittatura, manipolazioni, e immaginano un’altra esistenza, un aldilà, l’au-delà che dà il titolo dello spettacolo. La questione è che la morte ha dei confini molto labili: sono vivi o i morti a essere “aldilà”? Con questo lavoro vorrei trasmettere la gioia della morte. Lo spettacolo parla di questo, del vivere la morte con letizia e con serenità.
Che significato ha la danza per te?
Per me la danza rappresenta la mia esistenza piena. La danza è presente in qualsiasi cosa io faccia. Sono una persona che non dorme mai. Credo che la danza sia una sorta di arma per me. Ho bisogno di costruire, creare, danzare, formare per sentirmi al centro della terra. Mentre nel mondo si comprano le armi per farsi comprendere, a me bastano il movimento, i passi di danza per farlo.
Cosa vuol dire essere danzatori in Africa?
La danza è per me importante non solo in quanto africano ma anche come uomo, perché è un modo per sentirsi vivi. In Africa rappresenta molte cose, può essere ad esempio un mezzo di riconciliazione. Purtroppo le donne da noi non possono ballare danze creative contemporanee, ma solo danze tradizionali. Ed è per questo che per noi è importante avere in compagnia due danzatrici donne: siamo promotori di un’arte che non è d’élite. Tutti devono poter sperimentare nuovi tipi di danza, raggiungere l’au-déla, senza nessuna discriminazione.
Angela Sciavilla
(per uno spettatore critico 2014)