All’inizio di Phédre ci si ritrova come davanti a una strada buia, completamente immersa nelle tenebre, perimetrata da corde rosse e luminose che spingono lo sguardo verso una piccola luce centrale che si riflette simile ad un cuore pulsante, in un orizzonte che non riusciamo a vedere. La scena rapisce e getta violentemente lo spettatore in un oblio di spaesatezza e smarrimento. Suoni meccanici e ripetitivi inducono a entrare in sintonia con quelli che sembrano essere i battiti del muscolo cardiaco di Fedra, mentre si alternano voci calde e pause. Comincia così il percorso dentro le angosce, le speranze, i desideri e le preoccupazione di Fedra. La voce rivela la sua origine concedendo un volto, offrendo un riferimento da seguire. Suoni meccanici continuano a conciliare la trance, e Marianne Pousser (Fedra) riscalda l’ambiente con canti e impone il ritmo con vocalizzi e onomatopee.
La scena si illumina pian piano, e i nostri occhi, sempre fissi verso il centro dalla prospettiva, vengono attirati da ampolle appese, ciascuna ad altezze diverse, alle corde rosse. Sono piene di ghiaccio, grigiastro e offuscato, che sciogliendosi lascia cadere delle gocce a intermittenza, creando un suono simile al ticchettio di un orologio, che evoca in noi lo scorrere inesorabile della vita, l’avvicinamento alla morte da cui non si può fuggire. Alla base di queste si scorgono delle ciotole che vengono riempite d’acqua e piastre che la trasformano in vapore. Sembrano quasi rappresentare le cose superflue della vita, quelle vane che si smaterializzano subito, e quelle vive, le esperienze che mescolandosi rendono l’esistenza di ciascuno di noi tale. Le corde rimandano invece all’idea del sangue che scorre, che pervade l’uomo e che gli permette di vivere, dando l’apparenza che Fedra si muova sia all’interno del suo stesso corpo che fuori. Possiamo osserverla mentre tiene ben stretta la sua pelliccia, indossata come uno scudo capace di proteggerla dai dolori, un’armatura per affrontare il mondo. Dopo qualche istante ecco che la sbottona, mostrando una sottoveste bianca lucida, che spicca all’interno di un ambiente così scuro e cupo. Il suo coraggio aumenta e comincia ad affrontare la situazione. Prende a corteggiare il suo corpo con movimenti sensuali e singhiozzati, quasi a rimembrare momenti di intimità e di piacevole rapporto, dialogo, con il molto più giovane di lei Ippolito di cui è davvero innamorata e che è causa di ogni suo male.
I fantasmi interiori di Fedra fanno capolino attraverso voci stereoformi e sommesse, e si ha la sensazione che provengano da dietro, da davanti, dall'alto, dal basso, di fianco. Tutti questi irrazionali strepitii continuano ad aprire varchi per lo spettatore all’interno della mente straziata di Fedra, rendendo tutti compartecipi delle sue crisi e contraddizioni. Odi et amo. Amore e vendetta. Ed ecco il blow-up ottico: il corpo di Fedra sparisce, lasciando solo il volto e la mente che, nel quadrato focale di tutta la scena, appare anziana, maestosa e bianca come la veste, salvo poi lentamente rimpicciolirsi e rifarsi corpo. Intanto niente più vocalizzi, solo suoni elettronici prodotti dalle macchine. Unicamente tenebra e voce adesso, come a voler cominciare una seconda trance. La scena è adesso uguale a prima, tranne che per le corde di sangue che prendono a ondeggiare come pendoli, continuando a dare la sensazione del tempo che manca e passa inesorabile, sfuggendo. La luce gradualmente diventa verdastra, quasi espressione di sintomi di vitalità precedenti alla morte. Fedra, continuando a pensare ad alta voce, lancia per terra la pelliccia, restando solo con la bianca sottoveste, abbandonando ogni maschera. Ecco, stiamo assistendo ai suoi ultimi attimi di vita. Lancia con disperata violenza dei sassi contro delle vetrate, generando un rumore simile a grandine, per poi unire a quelle vetrate, somiglianti alla linea di passaggio tra vita e morte, alla grande incognita da affrontare, dei dischi capaci di emanare impulsi elettrici. Macchine e vita paiono fondersi. Fedra muore. Le macchine pulsano con violenza crescente, facendo tremare tutto, in un terremoto che ritrasforma in gocce tutta l’acqua accumulata nelle ciotole sotto le corde di sangue. Nel mentre, una luce all’orizzonte sembra dichiarare la fine della notte e l’alba di un nuovo giorno, oppure il viaggio dell’anima.
Francesco Demitry
(Per uno spettatore critico 2014)