Cercare di crearsi un destino a volte non basta, bisogna fare i conti col caso. Creare un dialogo con la vita molto spesso non serve, va più veloce di noi e raggiungerla è difficile quando ti rendi conto di avere solo una bicicletta. “Se qualcuno ha un destino, è un uomo. Se qualcuno riceve un destino, è una donna”. È così che Elfriede Jelinek presenta le vite di Paula e Brigitte, protagoniste del suo romanzo Le amanti, ripreso dal Teatrino Giullare, compagnia di Sasso Marconi che si è esibita sul palco del Teatro di Casalecchio di Reno incrociando la programmazione di Vie con quella del Festival Focus Jelinek. Siamo nel “BEL paese” austriaco in cui ci sono valli e colline, montagne e prati che contrastano con il tetto di lamiera di una fabbrica, all'interno della quale c'è Brigitte che cuce reggiseni e spera di sposare Heinz per fuggire dal suo destino. Poi c'è Paula, una ragazzina di 15 anni ostacolata dai suoi genitori, il suo desiderio è quello di imparare a fare la sarta, cosa atipica in un paese in cui per una donna il matrimonio indica l'inizio della propria vita o, meglio, una via di fuga. Così, queste due storie vengono raccontate parallelamente da una narratrice (Giulia Dall'Ongaro), alter ego della Jelinek, che con ironia ci mostra la brutalità della vita fatta di legami insensati e finti moralismi. Non c'è nulla di reale, abbiamo davanti un mondo cartonato, in cui persino i protagonisti non sono reali, Brigitte e Paula sono solo dei manichini manovrati dagli attori, quasi a rimarcare quell'alone di finzione che si espande nella realtà. L'unica cosa vera è l'Amore personificato da Enrico Deotti con il viso tinto di nero, un sentimento reale ma cupo che si aggira tra le protagoniste che si affidano a lui sperando di avere una vita migliore. Sul fondo ci sono scatole di cartone da cui prendono vita le maschere degli altri personaggi, si susseguono situazioni che uniscono con ironia momenti tragicomici: l'Amore è un burlone che si diverte a manovrare i pensieri ingenui di Paula e Brigitte, gli uomini sono ubriaconi che amano incondizionatamente la loro bottiglia, le donne sono inquiete e vorrebbero ottenere la propria libertà sposandosi.
[Foto di Chiara Ferrin per Vie Festival 2014]
Ma l'ironia si fa da parte per dare spazio alla brutalità dell'esistenza, il grande ossimoro di questo spettacolo è mostrare con eleganza la crudeltà e la bestialità dell'essere umano: Paula era una ragazzina che credeva nell'amore e avrà dei figli da un uomo che mette al primo posto l'alcol; Paula pensava che quattro mura e un tetto le avrebbero potuto donare quell'intimità che cercava, così inizia a inseguirla altrove, in una macchina con un uomo che non è il suo. Da questo momento in poi ha macchiato il suo destino, come dicono in città “una madre di famiglia non può comportarsi in questo modo”, e finirà stesa su un tavolo con una mela in bocca, come se fosse un maiale messo in mostra in una sagra di un paese. Resterà da sola e senza figli, voler intimità sembra essere un reato, sarà destinata a lavorare in una fabbrica come cucitrice non qualificata, proprio lei che voleva diventare una sarta. Brigitte, nonostante la presenza di Susi, sua rivale amata dai genitori di Heinz, resterà incinta e si sposerà, avrà una famiglia e un negozio. La “vincitrice” quindi è Brigitte, si salva dalla fabbrica accontentandosi del matrimonio, Paula, invece, continua a lavorare indifferente alla vita, non ascolta più le vibrazioni mondo, il suo unico obiettivo è non restare insoddisfatta continuando a girovagare con la sua macchina.
[Foto di Chiara Ferrin per Vie Festival 2014]
Il confine tra finto e reale si fa sottile, un conflitto che si affievolisce perché alla fine non importa davvero fare una distinzione, ma ci si chiede se uno spettacolo teatrale possa rispecchiare il nostro mondo. Il teatro può davvero attirarci nella sua sfera facendoci credere di poter vivere le sue storie? Abbiamo davvero una possibilità di scelta? I nostri obiettivi sono veri o dettati dal nostro status sociale? Probabilmente siamo solo dei fantocci che tentano di dare un senso alla propria vita, insignificanti come Paula e Brigitte o, forse, facciamo parte di un ingranaggio più grande di noi che ci spinge ad adattarci per sopravvivere.
L'alternanza tra satira e tragicità attira l'attenzione, le immagini che gli attori e la scena evocano mettono a dura prova lo spettatore che è costretto a guardare anche quando diventano troppo forti. Questo lavoro, con la sua delicatezza, lascia spazio all'efferatezza della nostra società, piena di maschere colme di frustrazione a causa di un'esistenza che non è stata vissuta al meglio.
Alessandra Corsini
(per uno spettatore critico 2014)