Contava, bisbigliava, modellava e scopriva il proprio corpo. Il coreografo fiorentino Virgilio Sieni stava danzando il suo nuovo solo quando sono arrivata al Teatro Storchi di Modena. Subito dopo le prove mi ha invitato a sedere accanto a lui al centro del palco e, circondati dal buio e con i volti illuminati da tenui luci, è iniziata la nostra conversazione sulla danza e sui suoi nuovi spettacoli, Isolotto e Brevi danze giovanili, presentati in prima assoluta all'interno del festival Vie (rispettivamente questa sera alle 21.30 al Teatro Storchi e sabato 17 ottobre alle 19 al Teatro comunale Pavarotti).
foto Stefano Scodanibbio
Nello scorso marzo, durante la rassegna Nelle pieghe del corpo a Bologna, ha riproposto Solo Goldberg Improvisation, spettacolo che ha riscosso molto successo e in replica da quindici anni. In questa edizione di Vie va in scena Isolotto, un assolo che, guardando le prove, sembra molto delicato e intimo.
Sì, spero che sia proprio così. Isolotto rientra nelle numerose promesse che io e Pietro Valenti (direttore artistico di Vie, ndr) ci facciamo ogni anno. Questo assolo si concentra sulla fragilità delle ossa e quindi nel dettaglio del corpo. Mi sento come se fossi un manufatto e sono alla ricerca delle mani artigiane che mi hanno costruito. Come un archeologo, rintraccio una catena di gesti primitivi che mi porta a studiare la struttura e l'evoluzione dell'uomo e del suo corpo. Per esempio, prima stavo provando la quinta parte: cullare, dondolarsi.
Cosa intende per cullarsi?
È una dimensione primordiale, uno dei primi gesti del venire al mondo. Mi fa pensare a una madre o a una persona amata. La nostra schiena si appoggia in questo gesto e così si possono rivivere emozioni e ricordi importanti. La prima parte del solo si svolge in piedi e riguarda le funzioni quotidiane: camminare, rannicchiarsi, girare. Tutti questi gesti sono legati a qualcosa di tragico e bello. Per esempio voltarsi può voler dire anche essere in fuga da qualcuno. La seconda parte, invece, si svolge per terra, è la fase per diventare adulti o anche il percorso evolutivo dell'uomo prima di essere bipede, e il cullarsi, il dondolarsi, si ritrova in questo momento.
Cosa ci può anticipare, invece, su Brevi danze giovanili?
Nasce subito dopo Cena Pasolini (performance che ha chiuso Nelle pieghe del corpo), un'esperienza che ha suscitato molto entusiasmo, tanto da spronarmi a cercare un'altra via per donarle una continuità. Brevi danze giovanili, infatti, accoglie nuovamente la Corale G. Savani di Carpi e alcuni amatori (termine che Sieni usa per indicare i non professionisti, ndr) che danzeranno per un'ora. È uno spettacolo caratterizzato da dieci duetti: ogni volta che ne viene eseguito uno, tutti gli altri cercano delle possibilità di variazione. Nasce così una performance che gioca molto sull'idea della serialità e della moltiplicazione del gesto.
Come artista vanta collaborazioni con molti musicisti. In Brevi danze giovanili ritorna, appunto, la Corale Savani di Carpi e in Isolotto lei sarà accompagnato dal chitarrista norvegese Eivind Aarset. Che rapporto c'è tra musica e danza? Come lavora per accordare queste due arti e come sceglie le collaborazioni?
Il mio rapporto con i musicisti dipende molto dalla qualità del suono ma anche della persona. Si crea un gioco tra la decodificazione del suono e la sua indicibilità. Solitamente, come nel caso di questo solo, cerco di predisporre un progetto e decido insieme ai miei collaboratori quali sono le sue qualità. La Corale Savani viene coinvolta spesso, in quanto raffigura il coro tragico che ci rammenta l'origine dell'azione spettacolare, della danza, dei gesti primari. In un certo senso, posso dire di riuscire a collaborare anche con Johann Sebastian Bach, nonostante si tratti di musica registrata, perché è un atlante di spiritualità.
Cosa significa ritornare in scena con un nuovo solo dopo quindici anni? Com'è cambiata la sua consapevolezza artistica?
Al di là di Solo Goldberg, in cui prevale una forma grammaticale basata molto sulla partitura di Bach e sulla figurazione del corpo, gli altri assoli sono dei momenti estemporanei con dei musicisti. Con Isolotto ho deciso di tornare a ragionare su una struttura. In realtà avevo voglia di capire a che punto del mio percorso mi trovassi dopo avere tanto lavorato con gli altri e dopo avere compiuto esperienze di tutti i tipi. Qui non ci sono tracce autobiografiche, si tratta di un sunto che mi permetterà di procedere la mia ricerca. Quando pratico la forma dell'assolo mi estraneo dal resto, quindi diventa anche un modo per allontanarmi da tutto quello che mi circonda.
Da poco è stato presentato Umano_Cantieri internazionali sui linguaggi del corpo e della danza, che vuole approfondire il discorso sul movimento e l'arte coreutica. Questo progetto parte il 14 ottobre e finisce il 31 dello stesso mese a Firenze, coinvolgendo molti artisti, alcuni provenienti dall'ultima Biennale Danza come Emanuel Gat, Yasmine Hugonnet, il Collettivo Cinetico e Annamaria Ajmone.
Umano non è un festival, è un progetto che vuole coinvolgere coreografi italiani, internazionali e emergenti. Tra gli artisti in programmazione c'è appunto Ajmone che sto seguendo e incentivando molto in questo periodo. Questa danzatrice ha provato più volte a entrare nella mia compagnia, ma guardandola ho capito che non può impiegare il suo tempo a studiare delle coreografie: è un animale solitario che deve lavorare e sfruttare tale dimensione al massimo delle sue potenzialità. L'istintività, di solito, è la strada che porta verso il genio, ma lasciata allo stato brado può risultare noiosa e ripetitiva fino a creare delle patologie all'interno della performance. Ajmone è riuscita a trovare la giusta misura tra impulso e metodica. È raro trovare la dimensione umana così prossima a quella animale.
Alessandra Corsini