La chiave del moderno è nascosta nell’immemoriale e nel preistorico. (...) È in questo senso
che si può dire che la via d’accesso al presente ha necessariamente la forma di un’archeologia.
(G. Agamben, Che cos'è il contemporaneo?)
Così scriveva Agamben in Che cos'è il contemporaneo? Così fa Virgilio Sieni in Isolotto, nuovo assolo a quindici anni dallo storico Solo Goldberg Improvisation. Martedì sera 12 ottobre 2015, sul palco del Teatro Storchi di Modena, il danzatore ha tracciato una vera e propria mappatura fisica della sua ricerca. La performance, composta da undici sequenze coreografate, invita lo spettatore a farsi testimone di un percorso di indagine ciclico e ancora in corso, riproposto sulle evocative strutture musicali del chitarrista norvegese Eivind Aarset. Il ritmo disteso e introspettivo richiede allo spettatore un'attenzione che può, e forse deve, trasmigrare a tratti nella disattenzione in modo da cogliere la danza nel suo verificarsi come riflessione e condivisione.
ph Chiara Ferrin
Sieni si definisce un archeologo del gesto: interpella il presente a partire dall'immemoriale, risale all'origine attraverso la contingenza di un soggetto che si muove in uno spazio e in un tempo precisi, eppure in grado di rinviare a un altrove. Il corpo in scena si interroga sul gesto a partire da un'ambientazione spoglia e minimale: palco bianco, sfondo nero; yin e yang. È il lento tracciato concentrico del danzatore attorno alla presenza di Aarset ad abitare la scena. Ogni ciclo coincide con una sequenza spaziale e temporale insieme, scandita da un alternarsi circadiano di luce e ombra e da una serie di variazioni sonore. La chitarra di Aarset amplifica e sostiene il percorso di Sieni funzionando come centro concettuale, ma anche fisico: il danzatore infatti circumnaviga il suono, lo aggira, lo comprende. Aarset, da parte sua, crea per Sieni sonorità tangibili, plastiche: le corde vibrano a tratti impercettibili a tratti incredibilmente percussive a formare un temporale elettronico, entrando quasi materialmente a far parte della scena. Il corpo di Sieni, che per un'ora intera non abbandona mai il movimento, assume spasmi apparentemente involontari in un tracciato motorio estremamente fluido, a geometria circolare. Il percorso in senso antiorario sembra funzionare come espediente di regressione, di emancipazione dal tempo cronologico. Ancora tempo e ancora spazio, quindi, per proporre una ciclicità eternamente rinnovata: l'alternanza di giorno e notte, l'ouroboros delle filosofie orientali, lo yin e lo yang, la morte e la resurrezione del Cristo. Esiste una tensione percettibile alla trascendenza: i gesti rinvenuti ed esposti sulla scena sembrano emergere da una dimensione primordiale che sovrappone la storia gestuale dell'individuo a quella condivisa della sua specie. Filogenesi e ontogenesi: evoluzione e origine. Un'origine che è, anche per Agamben, «contemporanea al divenire storico e non cessa di operare in questo, come l’embrione continua ad agire nei tessuti dell’organismo maturo e il bambino nella vita psichica dell’adulto». Risalire a questa origine, che esonda dal presente del corpo e della storia, significa dichiararsi parte di una comunità che intesse rapporti relazionali: che interagisce, che genera, che infligge dolore, che accudisce. La comunità dell'essere umano, certo, ma anche quella del quartiere fiorentino di Sieni, Isolotto appunto, e ancora la comunità che il danzatore riconosce nell'ultima sequenza eseguita - Giù (sotto) - in cui scende "giù" dal palco e percorre con il corpo lo spazio della platea, si arrampica sui palchetti, scorre con la mano le pareti esterne della sala, sorride al pubblico.
Qui il corpo danzante infrange la barriera tra spazio performativo e spazio della visione: trionfale lancia reti incantatorie con lo sguardo, perimetra un nuovo spazio dove danzatore e spettatore coesistono, dove il diviso ritrova senso e unità nel condiviso.
Elena Carletti - Laboratorio "Per uno spettatore critico"