Con Memorie di un pazzo di Levan Tsuladze entriamo nel mondo di Poprishchin, un semplice impiegato statale che, incupito dal grigiore del mondo in cui vive, cerca la via per la felicità nell'amore platonico per una donna angelica, venendo così condotto alla follia. La scena segue il progressivo sgretolarsi di un mondo visionario, regolato da un gioco di ombre, illusioni ottiche, rapidi spostamenti di attori e oggetti di scena. Abbiamo voluto sentire il punto di vista di Massimo Scola, il giovane attore protagonista dello spettacolo, sullo scambio avuto con una compagnia georgiana e, in particolare, sul suo rapporto con un'idea di follia.
Gli inizi e la vocazione
Mi sono avvicinato al teatro ai tempi del liceo e ho frequentato la scuola del Teatro Stabile di Padova, in concomitanza con lo studio universitario in scienze politiche. Dopo l'accademia ho partecipato alle audizioni per la rappresentazione Studio sul simposio di Platone diretto da Andrea De Rosa, entrando così nel vivaio dei giovani Ert.
Sono stato fortunato, ne sono cosciente. Con la saturazione del mercato e le leggi che impongono ai teatri la creazione di nuove scuole, ci sarà molta selezione. Ert stessa sta aprendo una scuola di recitazione che credo sarà molto valida, tra le migliori a livello nazionale, penso si imporrà sulla scena e darà un contratto ai giovani attori alla fine della formazione.
Memorie di un pazzo e la Georgia
Attualmente ho il ruolo di attore protagonista in Memorie di un pazzo, lavoro che sta già sfiorando le cinquanta repliche e ne ha in cantiere altre. La coproduzione con la Georgia ci ha dato moltissimo a livello umano, è difficile spiegarlo a parole. Dal punto di vista artistico la loro recitazione è differente, è incentrata molto più sulla corporeità e l'esercizio vocale, meno sulla psicologia del personaggio. Non a caso il regista, per superare il problema della lingua, comunicava con noi mimando. Gli attori georgiani riescono a rendere la recitazione comica attraverso fiati e accenti, enfatizzando i piccoli gesti, catturano il pubblico con un approccio artigianale, molto semplice e diretto, che funziona e apprezzo, ma che sento distante dalla mia inclinazione.
La pazzia, Gogol' e la regia
Mi capita spesso di interpretare ruoli al limite della follia, di personaggi con problemi psichici e affettivi non risolti. Un mese prima dello spettacolo ho assistito un tetraplegico e un epilettico in comunità, un'esperienza che mi porto dentro, cosciente del fatto che ciò non possa bastare a costruire uno spettacolo.
Il testo originale di Gogol' è un diario che tradizionalmente viene affrontato in scena come un monologo. Il regista ha rivoluzionato questo apparato in maniera intelligente, per raccontare l'ingresso nella vita di un ragazzo molto giovane e la storia di un amore, due temi che nel testo non emergono ma restano in profondità.
Tsuladze ci introduce nel mondo di Poprishchin, costruisce una scena visionaria, consapevolmente naif, portando in scena i personaggi che nel testo non vengono affrontati. Per esempio il protagonista racconta cosa gli succede a lavoro ma non descrive mai i suoi colleghi, dice di conoscere un cane che però non compare mai. Di base non c'è una vera e propria drammaturgia scritta e per questo motivo si è deciso di lavorare attraverso pantomime che enfatizzano la recitazione. Non è la follia a essere la protagonista, ma l'amore. Poprishchin diventa pazzo a causa dell'assenza di un sentimento che gli viene negato dalla donna amata e dal contesto in cui vive. Tutti in realtà cercano di colmare le proprie mancanze proiettando su qualcosa o qualcuno, una donna ad esempio, il desiderio di raggiungere la felicità. Solo in casi estremi il rifiuto si trasforma in follia.
A cura di Claudia Masi - Laboratorio "Per uno spettatore critico"