Interviste, recensioni, approfondimenti, interventi dal laboratorio di giornalismo "Per uno spettatore critico", in diretta da Vie a Modena e Bologna dal 13 al 23 ottobre 2016
L’Età dell’Oro si manifesta nella visione di Daniele Spanò e Luca Brinchi in Aminta, la rielaborazione del seicentesco dramma pastorale di Torquato Tasso andata in scena in occasione di Vie festival 2016.
Le scelte registiche stupiscono lo spettatore; il dramma diventa una video-istallazione che mette in campo un’affascinante ricerca di spazializzazione dell’immagine video e del sonoro.
Abbiamo intervistato uno dei due ideatori e registi, Luca Brinchi, per scoprire le motivazioni ed il percorso creativo che ha portato a tali scelte.
Cosa vi ha affascinato e spinto a rielaborare Aminta di Torquato Tasso?
La Sagra Musicale Malatestiana di Rimini ci ha commissionato Aminta e ci ha chiesto di accompagnare la sua messa in scena con l’Orfeo di Belli. Questo perché, esattamente quattrocento anni fa, nel 1616, le due opere furono rappresentate accostando i cinque atti del racconto pastorale di Tasso ai cinque intermezzi dell’opera musicale del Belli. Dopo questa esperienza, abbiamo deciso di lavorare solo su Aminta e la video-installazione performativa presentata a Vie festival è il risultato di questo percorso.
Aminta è un’opera nel quale viene celebrato il dominio della Natura sull’uomo. Lei e Spanò, oltre ad occuparvi dell’ideazione e della regia, avete curato la messinscena utilizzando scenografie multimediali e un impianto tecnologico molto complesso. Come avete coniugato l’aspetto tecnologico con un’opera che è, invece, esaltazione della Natura?
L’opera tratta di un’Età dell’Oro persa e rimpianta. Il suo aspetto pastorale, bucolico e naturale appartiene al passato ma insieme evoca una sorta di dimensione utopica, una condizione nella quale tutto ciò che piace può essere considerato lecito.
L’immagine video che abbiamo realizzato vuole restituire l'idea di un mondo arcaico mentre l’impianto tecnologico crea per lo spettatore l’impressione di abitare un tempo futuro rispetto a quello del dramma. Abbiamo tentato quindi di tessere un gioco tra passato, presente e futuro rimanendo al contempo fedeli all’idea che la Natura sia, alla fine, l’unico elemento dominante, vincente ed essenziale.
Vedete una contrapposizione netta tra tecnologia e Natura?
No, la tecnologia fa parte della vita presente ma ciò non significa che la Natura sia esclusa dal nostro mondo. Chiaramente, quando la tecnologia assume un ruolo distruttivo nei confronti della Natura, si creano dei corto-circuiti e dei contrasti drammatici ma, ad eccezione di casi estremi, sono convinto che possano coesistere. Non penso, infatti, che l’aspetto più naturale dell’essenza dell’essere umano possa svanire a causa del progresso tecnologico.
In un’intervista lei parla dell’idea della pièce teatrale come opera nella quale aspetto drammaturgico, visivo e musicale possono procedere insieme e diventare linguaggio unico. Come avete lavorato e come siete riusciti nell’intento di unire i vari ambiti artistici?
Questa commistione di linguaggi fa parte del nostro background artistico. Io vengo da un’esperienza con il collettivo Santasangre e in tutti i nostri spettacoli vi era l’intento di mettere insieme i diversi linguaggi artistici quello sonoro, quello visivo, il performativo e l'aspetto drammaturgico. Daniele Spanò è un’artista visivo che ha realizzato sia opere di arte contemporanea che scenografie multimediali. Nessuno dei due viene da un ambito prettamente teatrale ma piuttosto da un mondo in cui tutte le arti si possono fondere insieme. Nel caso di Aminta ci siamo avvalsi dell’aiuto di Erika Z. Galli e Martina Ruggeri, che hanno parzialmente riscritto, smembrato e ricomposto il testo, rimanendo comunque fedeli all’opera di Tasso mentre per la parte musicale abbiamo collaborato con Franz Rosati che è un compositore di musica elettronica ed elettroacustica. Lo sviluppo dei diversi discorsi artistici è avvenuto simultaneamente. Siamo partiti da alcune idee sorte in seguito alle prime letture del testo, dopodiché abbiamo lavorato sulla parte drammaturgica e, insieme, sviluppato la parte visiva e quella musicale.
Lei ha un background molto vario. Partendo dal collettivo Nevugon, passando per Santasangre fino ad arrivare ai suoi progetti individuali, ha lavorato alla creazione di scenografie e ambienti virtuali in ambiti artistici molto differenti. Cosa rimane delle sue esperienze passate in questa sua evoluzione odierna?
Si tratta di fasi della vita. Dopo undici anni di lavoro con i Santasangre, ho sentito l’esigenza di confrontarmi con altri artisti. Quella del collettivo è stata un’esperienza bellissima e sicuramente formativa ma iniziava a diventare troppo stretta, sia per me, sia per gli altri membri. Quando ci si conosce da così tanto tempo e si lavora tutti i giorni e per molte ore insieme, diventa facile intuire cosa stia pensando l’altro. L’elemento di sorpresa cominciava a mancare e, per questa ragione, abbiamo deciso di intraprendere percorsi individuali. A livello artistico, però, questa è stata la mia esperienza principale ed è ciò che mi porto dietro. Anche in Aminta c’è tanto del lavoro di Santasangre, comprese le performance inspirate alla body art degli esordi anche se qui realizzate in una forma che, oggi, mi è più vicina.
In Aminta l’unico interprete in scena è il satiro mentre le altre figure attoriali sono sostituite da dispositivi meccanici o proiezioni video. Perché questa scelta?
Leggendo Aminta abbiamo interpretato la figura del Satiro come rappresentante dell’Età dell’Oro, come la personificazione dell’essenza dell’Arcadia. Il Satiro è una figura sovrannaturale ma ha anche tratti umani, vuole seguire i suoi istinti ma ha pensieri simili ai nostri rispetto all’amore, al piacere e al desiderio. All’inizio piange perché Silvia non ricambia il suo sentimento; poi decide di prendersi con la forza ciò che desidera. Ed ecco lo snodo centrale dell’opera, riassumibile nella frase «S'ei piace ei lice” (Se piace, è lecito)». Chiunque sarebbe attratto da una siffatta possibilità ma c’è dell’ambivalenza in questa affermazione. Infatti cosa comporta seguire i propri impulsi? Quali sono le conseguenze del soddisfare il proprio desiderio? Il Satiro incarna tale ambiguità e per questo è l'unico corpo in scena.
a cura di Altea Alessandrini