Interviste, recensioni, approfondimenti, interventi dal laboratorio di giornalismo "Per uno spettatore critico", in diretta da Vie a Modena e Bologna dal 13 al 23 ottobre 2016
Siamo in un teatro, nel fondo dell'Europa. Questi i presupposti con cui inizia Amor, l'ultimo spettacolo di Theodoros Terzopoulos, esponente della regia internazionale e attuale figura di spicco della scena greca. La storia potrebbe svolgersi in qualsiasi luogo e allora lo spazio teatrale non rimanda a nient'altro che a se stesso: un palcoscenico nel quale sono imprigionati i due interpreti. La scena trasuda una scarna essenzialità: un grosso tubo, che ricorda quello di uno scarico, scende dall'alto fino al suolo – forse è da qui che abbiamo raggiunto il fondo –, al suo interno si trova una donna (Aglaia Pappa); una passerella interseca questo tubo, dove un uomo (Antonis Myriagkos), che incarna l'ossessionata e ossessionante figura di un “trader”, vomita numeri e calcoli matematici, percentuali e termini tecnici dell'alta finanza. Amor diventa così una rapida e tartassante escalation di numerazioni, così frenetica e compulsiva da mettere lo spettatore alle strette. Durante tutta la rappresentazione non ci sentiamo mai al sicuro, non c'è mai alcun conforto per noi e la sensazione di un pericolo imminente ci corrode fino all'alienazione. In Amor ogni cosa ha un prezzo che segue la quotazione di mercato, l'andamento delle borse, tutto può essere campionato e dunque venduto e acquistato. Le relazioni sociali sono spersonalizzate fino alla mercificazione, si trasformano in mere transazioni economiche ed esaltano un vero e proprio feticismo finanziario. Il rapporto tra uomo e donna o, meglio ancora, il vano tentativo di creare tale rapporto, si tramuta in un'asta asettica, dove la donna mette in vendita ogni cosa, persino se stessa, pur di far aumentare il proprio valore sul mercato. «Sell me! Sell me!» ripete lei mentre ogni parte del suo corpo, ogni organo, ogni sogno o desiderio, ogni aspirazione e ogni ricordo viene messo all'asta. Il regista però non si sofferma soltanto sull'indagine dei rapporti interpersonali nella società contemporanea, scandaglia anche la relazione che ogni individuo ha con se stesso, con il Potere e, soprattutto, con la crisi, finanziaria ma non solo. In questa prigione, che in fondo è il sistema economico, l'uomo viene travolto dai numeri fino al raggiungimento di uno stato ossessivo-compulsivo che destruttura il corpo in scena e si rivela attraverso la trasformazione dei riconoscibili segnali usati dai traders (hand signal) in veri e propri tic nervosi. Anche il logos è letteralmente fatto a pezzi, smembrato e disarticolato fino all'emissione gutturale, al puro suono, all'ululato, forse unico residuo di “animalità” – e quindi di umanità – di questi corpi che hanno venduto persino la loro anima e adesso non sono altro che cifre. L'assillante reiterarsi di numeri è l'unica possibilità di linguaggio, di comunicazione: il “sei” inglese (six) ricorda per assonanza “sex”, quel sesso dove l'amore è totalmente escluso; il “sei” greco (éxi) ricorda invece la parola inglese “exit” a cui la donna risponde con un secco e fatalista «No exit». In un periodo di crisi economica e politica come quella che sta attraversando oggi l'Europa Amor avanza una riflessione sulla guerra quotidiana che si combatte tra gli esseri umani, i numeri e i pacchetti azionari. Nessuna possibilità di immedesimazione è offerta allo spettatore: ogni elemento in scena diventa uno “specchio opaco” del presente, che ci mette di fronte alla necessità di una riflessione critica sulla nostra condizione. Non c'è nessuna uscita dal “fondo dell'Europa” e allora forse, sulle note sentimentali di un decadente flamenco, l'unica speranza per risalire in superficie pare essere proprio l'amore, quella straziante invocazione di un uomo che cerca di sollevarsi finalmente verso l'alto: «Amor! Amor! Amor!».
Marzio Badalì