Interviste, recensioni, approfondimenti, interventi dal laboratorio di giornalismo "Per uno spettatore critico", in diretta da Vie a Modena e Bologna dal 13 al 23 ottobre 2016
A vida enorme/épisode 1 è una performance poetica, è un tenero e delicato passo a due tra innamorati. La coreografia originale, ideata nel 2003 da Hemmanulele Huynh per Nuno Bizarro e Catherine Legrand, è stata trasmessa a 14 studenti della scuola del Théatre National de Bretagne. Lo spettacolo (presentato il 16 Ottobre 2016 al Teatro Testoni Ragazzi di Bologna) è stato concepito per uno spazio neutro in cui sono poste, al centro, delle casse da pavimento. Per la prima mezz'ora ascoltiamo il diffondersi delle voci di un uomo e una donna che parlano rispettivamente in portoghese e francese. Superato l'iniziale distacco che si prova se non si comprende la lingua, ci si ritrova immersi in una suggestiva atmosfera che richiama immagini e paesaggi; le parole si propagano dalle casse e pervadono la scena dando vita a un immaginario intriso di poesia e intimità, anche grazie all'uso di luci che si accendono e sfumano da vari angoli della stanza. La lettura si interrompe e sulle note della canzone We can be heroes di David Bowie entra una coppia di giovani performer. Indossano soltanto un paio di jeans e una polvere bronzea cosparsa su tutto il corpo li fa sembrare esseri puri e immacolati. La canzone si stoppa e ha inizio una coreografia fatta di inspirazioni ed espirazioni, a ognuna delle quali è associato un movimento; i danzatori occupano lo spazio con ponti, allungamenti, posizioni tenute; l'attenzione e la presenza con cui si dedicano ai movimenti ricordano il consapevole controllo del corpo che caratterizza lo yoga. Il contatto visivo con il compagno è sempre vivo, la coppia sembra parlarsi e ascoltarsi con lo sguardo, aprire la propria anima all'altro. Così come inizialmente la suggestione del testo recitato ci lascia “vedere”, immaginare un uomo e una donna che parlano, allo stesso modo la danza eseguita lentamente e in silenzio ci permette di “sentire”, sognare la musica. A un certo punto entra in scena una seconda coppia poi, piano piano una terza, una quarta, fino ad arrivare a sette coppie totali, di cui tutti eseguono la stessa coreografia in spazi e tempi diversi. I danzatori si sostengono a vicenda, si abbracciano, “spingono” i gesti l'uno dell'altro, si “usano” come appoggio in una relazione di dipendenza reciproca. La reiterazione del movimento e l'eterea energia che diffonde ci fa innamorare del micro universo che si crea sotto i nostri occhi. Così come gli interpreti danzano una forma originale secondo le proprie attitudini, la propria fisicità ed esperienza, allo stesso modo gli innamorati amano di un sentimento primordiale, l'amore, ma ognuno lo fa a modo proprio. L'essenza originaria è la stessa eppure le strade attraverso cui viene vissuta cambiano da individuo a individuo. Il passo a due giunge al termine con l'immagine dei performer attaccati uno all'altra, la donna di spalle all'uomo, i corpi premuti con sempre più forza fino a tremare, a fondersi e saltare in aria esplodendo in un ballo libero e sfrenato in cui lo sguardo è sempre fisso negli occhi dell'altro. Alla fine si sorridono, sembra che si ringrazino a vicenda per aver danzato insieme, per aver condiviso qualcosa che li ha cambiati entrambi, per essere entrati in intimità ed essersi amati, fosse anche solo per il tempo di un passo a due. Nel frattempo altre tre, quattro, infinite coppie dopo di loro vivono la danza più antica del mondo.
Elisa Clara Maddalena