Interviste, recensioni, approfondimenti, interventi dal laboratorio di giornalismo "Per uno spettatore critico", in diretta da Vie a Modena e Bologna dal 13 al 23 ottobre 2016
«Disegnare, per me è come lasciarsi cadere, più giù, con la musica di Giacomo. Disegno, suono e voce sono gli strumenti antichi, segretamente uniti, che stiamo provando a evocare insieme, per riuscire a raccontare una storia».
Così Stefano Ricci introduce la sua performance teatrale, Più Giù, in programma al Vie festival 2016. Sul palco, Stefano traccia sul foglio bianco, in tempo reale, le immagini della sua infanzia e di sua madre, la sua voce ci racconta le memorie, gli affetti e i piccoli episodi di quotidianità e la scena diventa il luogo di una confessione viscerale e toccante. Il tutto viene accompagnato, amplificato e sostenuto dal dialogo che si instaura coi due compositori e musicisti Giacomo Piermatti, al contrabbasso e Vincenzo Core, live electronics, che riescono a creare una colonna sonora, eseguita dal vivo, potente ed evocativa sospesa tra sperimentazione sonora, musica elettroacustica e ambient.
Abbiamo intervistato Giacomo Piermatti per approfondire il ruolo avuto nella realizzazione di questa performance e, più in generale, per saperne di più sul suo percorso artistico come musicista e compositore.
Com’è nata la collaborazione con Stefano Ricci? Cosa ti ha attratto e spinto a cimentarti in questo lavoro?
La collaborazione con Stefano Ricci è nata nel 2012. Mi ha ascoltato eseguire al contrabbasso Geografia Amorosa del compositore Stefano Scodanibbio alla Rassegna di Nuova Musica di Macerata e, in seguito, mi ha chiesto di collaborare a uno dei suoi spettacoli. A Stefano piace disegnare dal vivo, con musicisti e, dopo questa prima esperienza, abbiamo continuato a fare performaces in giro per l’Italia, in occasione di vari eventi e all’inaugurazione delle sue mostre. A Milano, finalmente, abbiamo avuto l’idea di cimentarci nel primo spettacolo teatrale con voce registrata. La nostra è stata ed è un’interazione stimolante e trovo molte analogie tra il suo modo di disegnare e il mio approccio al contrabbasso: il disegno di Stefano mi sembra meraviglioso, così ricco, materico, fisico, aggettivi che per me descrivono la musica; gesto prima che pensiero. Inoltre, sin dagli anni della mia formazione, sono sempre stato attratto dalla possibilità di trovare delle liaison tra ciò che è prettamente musicale e le altre arti, siano queste quelle visive, il teatro o la danza.
Come avete lavorato? Come avete pensato la composizione musicale in unione a un atto performativo di questo genere, un artista che dipinge dal vivo?
In questo spettacolo avevamo un vincolo forte: il testo, che è interpretato e registrato. Abbiamo discusso molto e ci siamo domandati se fosse il caso di coinvolgere un attore. Alla fine abbiamo preferito la voce di Stefano; la naturalezza e le fragilità del suo parlare ci sono sembrate qualità importanti, da difendere.
Insieme al compositore e musicista elettroacustico Vincenzo Core abbiamo cercato di creare una composizione che conservasse sempre un legame con il contenuto del testo, semanticamente così forte; talvolta, questo collegamento si è tradotto nella creazione di potenti contrasti sonori. Penso che la musica, al contrario della parola scritta, debba esprimere ciò che esiste prima del processo di razionalizzazione del pensiero, arrivando a "dire" tutto quello che non è verbalizzabile. Contemporaneamente, ci siamo sforzati di dare alla composizione una sua identità e forma e di conferirle delle leggi interne, dei ritorni e dei rimandi così che potesse esistere anche indipendentemente dalla voce registrata.
Quanto c’è di improvvisazione? Quanto invece è pianificato?
Le immagini del disegno hanno un legame ben preciso con il testo ma all’interno di questa struttura, più o meno fissa, Stefano disegna molto liberamente, scegliendo di seguirci come meglio crede, secondo il suo grado di coinvolgimento emotivo. Il suo è un approccio fisico e votato all’improvvisazione. Nel caso della musica, invece, esiste una partitura ben definita; questa riguarda i gesti, i suoni, le sovrapposizioni, le interazioni con l’elettronica, le particolari melodie e armonie. Il contenuto interno delle singole sezioni e l’esatto susseguirsi delle singole note è, invece, largamente improvvisato.
Più giù è un lavoro molto personale e di profonda intimità. Cosa ha significato per lei farne parte? Come ha tradotto questa intimità in musica?
La natura del lavoro è talmente personale da risultare quasi fragile; l’unico modo che ho trovato per rispettare tale sentimento è stato ritrovare nell’intimità che Stefano racconta la mia intimità e, successivamente cercare di instaurare una comunicazione diretta, uno scambio simbiotico con l’interiorità di chi ascolta e partecipa. Io e Vincenzo abbiamo tenuto conto di questo sentimento di dolcezza, di un senso di profonda familiarità ma, allo stesso tempo, abbiamo voluto sottolineare tutte quelle forze, non così lineari, che si intravedono appena sotto la superficie del testo. Forti momenti di rottura nella musica sono stati evidenziati, di modo da conferire complessità e profondità a sentimenti insieme così fragili e potenti.
Come si è avvicinato alla musica contemporanea e ad un certo modo di sperimentare?
L’attrazione verso la musica contemporanea si è sviluppata in maniera molto spontanea, anche grazie al mio maestro di Conservatorio, Daniele Roccato, che ha assecondato questa mia naturale tensione. Decisivo è stato l’incontro con Scodanibbio, contrabbassista e compositore, con il quale ho avuto la fortuna di studiare, di affrontare un certo repertorio musicale e grazie al quale sono entrato a far parte dell’ensemble di contrabbassi Ludus Gravis, fondata da lui e Roccato. Per me, la sperimentazione, che nell’ambito sonoro porta alla la costruzione di nuove forme e linguaggi, è vitale e non riesco a concepire una musica ferma a fine ‘800 o inizio ‘900. La musica è linguaggio che evolve e insieme espressione di un sistema economico e sociale; questi fattori non possono essere ignorati. L’approccio di ricerca verso nuovi suoni, timbriche e tipologie di emissione è, per me, di fondamentale importanza.
Il compositore Luciano Berio nella prima puntata della trasmissione Rai del 1976, C’è Musica e Musica, poneva a famosi compositori, musicisti e studenti la stessa inaspettata domanda ricevendo risposte soprendenti. Ecco la domanda: cos’è la musica?
È una bella domanda. La musica è ricerca; questa è la parola che meglio la definisce. Ricerca che non è solo intellettuale, di pensiero ma, innanzitutto, di contatto intimo con il proprio corpo. È inscindibile dal gesto, dall’aspetto corporeo e fisico sia del musicista che dello strumento. È proprio la ricerca di questo stretto rapporto tra pensiero, corpo e strumento ciò che mi affascina maggiormente e verso la quale si orienta il mio studio e il mio modo di pensare la musica.
A cura di Altea Alessandrini