Interviste, recensioni, approfondimenti, interventi dal laboratorio di giornalismo "Per uno spettatore critico", in diretta da Vie a Modena e Bologna dal 13 al 23 ottobre 2016
Storie e voci salgono dalle periferie di un sobborgo svedese. Sono le protagoniste di The Misfits on the outcasts. 1978-2016, spettacolo in prima nazionale che Mattias Andersson e la compagnia del Backa Teater hanno portato all’Arena del Sole di Bologna il 22 ottobre 2016. Con lo scopo di interagire con i giovani e offrire uno spazio di espressione a emarginati, immigrati, persone in difficoltà che abitavano la periferia di Gothenburg, nel 1978 un gruppo di attori si trasferisce in un edifico ai margini della città e fonda il Backa Teater. Lo spettacolo raccoglie il frutto dell'indagine storico-sociale sviluppata sul concetto di “disadattato” – misfit - dall’anno della fondazione della compagnia a oggi. Cosa vuol dire disadattato? Chi è? Dove vive? Partendo da questi interrogativi gli attori mettono insieme le esperienze vissute a contatto diretto con la realtà delle periferie e ne fanno materiale documentario da portare in scena: interviste e testimonianze, esperienze di esclusione, rifiuto e disagio nelle quali possono rispecchiarsi non solo i giovani svedesi ma tutti gli spettatori.
La scenografia è composta da pannelli blu che circondano il perimetro del palco e rievocano l’edificio metallico dove venne fondato il Backa Teater. La scenografia è anche la gabbia dove gli esclusi si sentono relegati, piccolo spazio privo di aria e di vie di fuga contro cui selvaggiamente essi sfogano la propria frustrazione. Una delle attrici-fondatrici introduce la narrazione: spiega quali motivazioni hanno portato alla nascita della compagnia e perché si sia insediata proprio in un sobborgo operaio di Göteborg. Attraverso le foto d’epoca che scorrono alle sue spalle racconta al pubblico l’impegno che da sempre li ha animati. Tuttavia, trentotto anni dopo, le realtà di emarginazione ed esclusione ci sono ancora, seppur con disagi diversi: la rappresentante della prima generazione del Backa lascia spazio agli altri attori che raccontano i diversi volti del disagio oggi. Sono nerd in conflitto con gli interessi e i divertimenti dei coetanei, adolescenti che soffrono la mancanza di dialogo in famiglia, ragazzi avulsi e alienati nel contesto in cui vivono, profughi ed emigrati. I disadattati di oggi soffrono la mancanza di un luogo in cui riconoscersi come la soffrivano ieri; cambiano i nomi e i volti, ma restano “i ribelli, gli ultimi”.
Foto in bianco e nero fanno da sfondo agli attori che danno materia a quella rabbia apparentemente silenziosa dei disadattati. E l’epilogo di alcune storie è inevitabilmente tragico. Mentre i giovani attori del Backa raccontano i diversi volti dei misfits, i fondatori vogliono partecipare alla scena, ma sembrano fare fatica a integrarsi: anche loro finiscono per diventare disadattati; i cambiamenti sociali lentamente li escludono dal contesto, come se gli attori over 60 non avessero più nulla da dire. L’alternarsi delle storie e delle situazioni borderline si fa ripetitivo nel sottolineare come tutto cambi ma i disagi e le gerarchie sociali restino. I primi e gli ultimi c’erano ieri come ci sono oggi e non c’è ancora una cura per le periferie del mondo. A tratti questo ribadire parti di testimonianze diventa ridondante. Nonostante ciò lo spettatore resta in ascolto fino allo scadere delle due ore di performance grazie al sottile tono autoironico espresso nelle testimonianze degli attori della prima generazione. Rabbia, rancore, solitudine, abbandono: sul palco i sentimenti del disagio esplodono in una musica martellante che scavalca il limite della periferia e arriva dritto alla pancia di chi osserva. E in un istante il rovescio della medaglia: lo spettatore è osservato, su di lui pesano gli occhi dei misfits con le loro storie amare.
Infine, dal buio della periferia riemergono i disadattati nella loro nudità: sono esseri umani come tutti, hanno un’identità e una dignità che non gli viene riconosciuta. Anche se abitano “gli abissi dell’inferno” hanno diritto al tendere verso il bene e uscire dalla prigione in cui sono stati confinati. La riflessione di Andersson e del Backa resta la punta di iceberg contro cui la società continua a sbattere. Si potrà mai risalire dal fondo degli abissi e uscire dalla prigione metallica?
Ilaria de Lillo