A caratterizzare il nostro presente sembra essere un senso di vuoto, la mancanza di un appiglio per leggere e affrontare ciò che ci sta attorno. Sentimenti, questi, tradotti in un’angoscia che si manifesta come chiusura nella propria dimensione individuale, scudo per sopravvivere alla paura dell’ignoto. Sono considerazioni che si rivelano lucida presa di coscienza del trovarci a un punto di stallo, una crisi intesa come momento di rottura, cambiamento verso qualcosa di diverso. Ma diverso da cosa? Il senso di smarrimento di fronte a questa, spesso inconscia, sensazione di mutamento, e il suo rifiuto per timore del nulla, emerge in Il libro di Giobbe di Babina e Aldrovandi, in cui il protagonista di fronte a un mondo illogico privo di Dio e risposte si ostina a cercare ossessivamente un senso, una causa, arrivando inevitabilmente alla morte. I Dead Center con Chekhov’s First Play mostrano una società a confronto con una eredità vuota, perché spesso solo materiale, la cui unica via d’uscita sembra accettare questa mancanza e ricercare nel buio una piccola luce. Si viene quindi a delineare la necessità di riprendersi dal trauma del nulla, riconoscere che “il mondo va così” e ripartire. Ma da cosa se mancano i “padri”? Complementare alla presa d’atto del mutamento, c’è il bisogno di un germe per la creazione di qualcosa di nuovo in cui riconoscerci per non sentirci più così persi. Un ritorno all’originario, come suggerisce Encore di Terzopoulos, un ritrovare le intime radici della vita, ossia l’eterno scontro tra forze opposte, genesi del dinamismo del tempo entro cui l’uomo è inevitabilmente portato a rinnovarsi continuamente. Oppure un originario ricavabile dal riconoscimento dei diversi aspetti della corporeità come in Benvenuto umano di CollettivO CineticO. L’attuale bisogno di trovare ciò che permane immutato nel tempo per ricostruire da lì quel “nuovo” in cui riconoscerci si declina in scena in movimentate dinamiche di decostruzione, che aprono anche a questioni collaterali sulla relazione con l’altro e con il passato, e pone le basi di un’utopia futura.
Ilaria Cecchinato, laboratorio Per uno spettatore critico