Mi racconti come è nata l'idea di “Questo calore”? L'hai pensato proprio per lo spazio del cortile o ha una storia diversa alle spalle?
In realtà l'idea che lo sostiene è molto semplice, nasce da una suggestione, che è poi anche un po' un'inquietudine, suscitata da una notizia di qualche settimana fa, quella dell'avvistamento di uno stormo di Ibis sacri nelle campagne di Parma. Sono uccelli originari del Nord Africa, radicati in quel territorio, anticamente erano venerati dagli Egizi che raffiguravano il dio Thot con la testa di questo uccello. In Europa invece gli ibis sacri erano estinti da tempo.
Quindi un riferimento dal forte portato iconico, chiaramente riconoscibile come qualcosa che appartiene a un altro luogo e a un altro tempo.
Partendo proprio dagli avvenimenti della cronaca ambientale mi interessava innestare gli ibis in un territorio che fosse solo lievemente modificato, ma che mantenesse le tracce di una sua identità, per esempio sono riconoscibili dei pini e altri alberi nostrani. Questo come per lanciare la suggestione di un cambiamento, anche climatico, già in atto, anzi come se fosse già avvenuto, porlo come un dato assolutamente normale, quasi pacificato per quanto drammatico. Questa sorta di anomala normalità è la sensazione che vuole trasmettere l'installazione. Per la parte visiva ho lavorato insieme a Alessandro Randi, un grafico molto bravo e dalla grande esperienza, volevamo un'immagine che fosse come velata, spostata, data in modo indiretto, per questo c'è questo teatro di ombre, per cui in realtà l'immagine video è annullata e trasposta attraverso l'ombra. Con la parte sonora volevo invece dare l'idea di “un al di qua”, un al di qua rispetto all'immagine, quindi ho creato una suggestione mimetica che si inserisce nel contesto dell'installazione segnalando delle presenze, ma questa volta lo fa in modo diretto, come se il suono fosse prodotto dal movimento di questo ipotetico stormo evocato dall'immagine, quasi a dare una profondità.
Come mai hai deciso di inserire tutto questo all'interno di “Non ho mica vent'anni!”?
Tutto è nato grazie all'incontro e agli stimoli di Silvia Bottiroli, che conosce il mio lavoro e mi ha proposto di realizzare qualcosa di pensato apposta per il festival. Ci siamo confrontati e il dato che ci sembrava più interessante era quello di pensare a qualcosa di fruibile anche da un pubblico di non addetti ai lavori, come il classico spettatore casuale, magari longianese, che si trova a passare vicino al cortile e improvvisamente ha una sorpresa: qualcosa è intervenuto a modificare il paesaggio abituale. Infatti il lavoro è pensato proprio per una fruizione distratta, casuale, appunto una fruizione di passaggio, qualcosa che sia visibile senza imporsi con prepotenza allo sguardo, di modo che chi vuole possa scegliere di prestargli attenzione e fermarsi un momento. Ho cercato di lavorare in modo anche lieve, per adattarmi al contesto urbano in maniera non invadente, un po' come un ospite che modifica ciò che incontra ma tentando di lasciarne intatta l'aura di normalità.
Tu hai una attività molto varia che va dalla collaborazione con gruppi di teatro a quella con videoartisti a un percorso autonomo di installazioni sonore in gallerie d'arte e altri contesti, come ti orienti fra tutte queste anime del tuo lavoro?
Per me la cosa più importante è il contesto, è quello che mi stimola e fa attivare le cose, considero anche le compagnie teatrali dei contesti ambientali! Quello che mi interessa è proprio la situazione, non intesa in termini astratti, anzi proprio senza grosse idealizzazioni. Ovviamente non parlo semplicemente delle caratteristiche ambientali o architettoniche di uno spazio piuttosto che un altro, ma proprio della situazione in sè, di come si configura, con i suoi incontri, le sue aperture e i suoi limiti. In questo senso credo di riuscire a instaurare un dialogo con l'ambiente che mi accoglie che non si riferisce tanto al lavoro concluso, quello che vede lo spettatore, ma a ciò che accade prima, al dialogo con il curatore, con l'organizzazione, quindi a tutto una situazione contestuale e momentanea che da senso a un luogo e lo caratterizza. Questo influenza anche il prodotto finale, per così dire, a livello di concezione. La scelta delle modalità con cui lavoro, che possono essere anche molto diverse, dipende in gran parte dal dialogo che si instaura, ugualmente la scelta dei materiali che utilizzo non è una scelta elettiva, ma è legata al dialogo che voglio innescare. Allo stesso modo nelle mie relazioni con i gruppi di teatro non mi focalizzo solo sul progetto particolare o sullo spettacolo da realizzare, ma presto attenzione alle dinamiche che si innescano, a quel che le alimenta e le sollecita.