I vent'anni sono l'età a cui tutti vorrebbero tornare, e a cui invece, chi vent'anni li ha veramente, non vede l'ora di dire addio, perché da sempre costretti, dai più vecchi o dai più titolati, in una riduzione dell'esperienza, in un'esistenza minima di cui poco si può dire e ancora meno si può sapere, in fondo si hanno solo vent'anni. La stessa età il Teatro Petrella di Longiano l'ha compiuta nel 2006, dopo aver inaugurato i suoi spazi proprio vent'anni fa con compagnie che allora erano una scommessa, vinta a piene mani se si guarda il cartellone dell'epoca che titolava spettacoli della Societas Raffaello Sanzio, della Valdoca, di Sandro Lombardi, Danio Manfredini e Virgilio Sieni, per fare solo alcuni nomi fra i molti possibili. Proprio in occasione di questa ricorrenza Ert e il Petrella hanno pensato a un festival, Non ho mica vent'anni, dedicato a gruppi giovani o emergenti, di cui incontriamo la curatrice Silvia Bottiroli.
Ci racconti come hai costruito il programma del festival e quali sono le linee che come curatrice hai scelto di delineare?
La coordinata più istituzionale è stata sicuramente la scelta di chiudere i festeggiamenti per il ventennale del Petrella e nel contempo creare un'apertura su gruppi e giovani realtà del teatro, accomunate e scelte non in base a un'abusata categoria anagrafica, ma considerando il senso e la richiesta che questi lavori presentano al mondo. Credo che vi sia un bisogno molto preciso che declina la necessità di un ascolto e di un senso di responsabilità, insieme etica ed estetica, che queste compagnie emergenti pongono al sistema teatro, ai suoi spazi, ai mezzi, agli operatori, agli spettatori e ai critici. I gruppi selezionati non si limitano a un ambito strettamente regionale, ma vi si aggiunge un'apertura verso sud che vuole restituire, più che un'istantanea sul giovane teatro di oggi, una geografia per forza di cose personale ed istintuale delle forme sceniche esistenti. Si tratta di lavori anomali, nella maggior parte dei casi a cavallo delle categorie di teatro e danza che solitamente articolano i cartelloni della programmazione annuale, anzi le proposte propriamente teatrali, che presentano drammaturgie originali, sono in netta minoranza rispetto a creazioni che sospingono un ostinato lavoro sul corpo o che si confrontano con la dimensione del visivo. In gran parte si tratta quindi di creazioni “fuori formato”, dalle durate anomale, contraddistinte da una certa concisione temporale, e soprattutto trovo che siano lavori capaci di suscitare un incontro, di creare uno sguardo che oltrepassi la loro materialità espressiva o la radice concettuale, capaci di rivelare una visione altra del mondo, questo grazie sia a un'accentuata autonomia a livello di linguaggio e di immaginario sia per la forte relazione che riescono a intessere con la realtà, con il fuori da sé.
Questa frontalità rispetto al reale si sostanzia nella scelta di disseminare le opere anche in spazi non teatrali?
La volontà di uscire dal teatro è uno dei segni più forti portati dalla programmazione del festival nell'intento di creare un rapporto ancor più stretto con il territorio, con la popolazione di Longiano. Per questo la manifestazione va ad occupare spazi pubblici come la piazza o altri luoghi del centro storico tra cui la Fondazione Tito Balestra o la chiesa di Santa Maria di Loreto, quasi un'incursione nella vita del paese. In questo vi è anche un'attenzione rispetto ai gruppi scelti, artisti emergenti che hanno la necessità di confrontarsi con un pubblico vero, non formato solamente di addetti ai lavori.
Pensi di poter individuare una nuova sensibilità tra gli operatori o la volontà di accogliere queste richieste dei giovani artisti?
Credo che si stia creando un arcipelago di situazioni e luoghi capaci di ascoltare e promuovere il confronto e la tessitura di rapporti duraturi tra artisti e operatori e tra le giovani compagnie e i luoghi, in grado di creare un dialogo, un accompagnamento di sguardi che cerca di traghettare gli artisti da uno stato di emergenti a una maggior visibilità e circuitazione, anche se ancora contestualizzata e protetta, considerato anche la natura “in formazione” delle proposte. In questo senso, quello di dare voce a un bisogno di cura e di accompagnamento dei gruppi più giovani, è fondamentale la sinergia che questo festival ha attuato con l'Arboreto di Mondaino e con Santarcangelo dei Teatri, con cui il Petrella sta condividendo due progetti produttivi di cui proprio in occasione di Non ho mica vent'anni verrano presentati momenti diversi di creazione dei lavori. Un vero e proprio circolo virtuoso di attenzione e ascolto che si propone di legare artisti e territorio, di rendere presenti e mettere in relazione le proposte teatrali con gli sguardi e le situazioni esistenti.
Questo festival sembra quindi invocare la dimensione più tenace, e meno tutelata, di una giovinezza di intenti e di sguardi sul mondo: quella capace di entrare in una relazione creativa e trasformatrice con il presente, quella che invoca un confronto presentando con coraggio la radicalità della propria visione.