INTERVISTE > Giovani corpi pensanti alla "Galleria Lavori in Pelle"
Partirei dagli inizi, nel 1996. Come nasce l'esigenza di fare un festival? Da dove parte la necessità di sostenere e promuovere le compagnie giovani di danza?
Monica Francia (MF) . L'associazione Cantieri nasce nel 1994 con il nome Cantieri di fine millennio. Uno dei motivi più importanti che ci hanno spinto a fondare l'associazione deriva dalla grossa componente di autoreferenzialità che riscontriamo nelle compagnie agli esordi. Spesso, chi è agli inizi fa le cose per sé, senza pensare che deve fare i conti con un pubblico. Cantieri e Lavori in Pelle mettono i gruppi giovani di fronte a una vera platea, per fare in modo che si rendano conto di cosa significa trovarsi di fronte a uno sguardo indiscreto.
Dopo avere tentato, con scarsi risultati, una collaborazione con le scuole di danza, nel '96 abbiamo dato vita al Festival, che si chiamava Piccolo festival intorno alla danza.
Ci siamo subito resi conto che Ravenna non era il territorio adatto per iniziare. Era necessario un periodo di sperimentazione e di "palestra" in provincia per poi tentare di sfondare in città. Siamo stati fortunati nell'incontrare Giuseppe Masetti, l'allora Direttore del Museo del Senio e Renzo Savini, il sindaco di Alfonsine di allora, che da subito hanno creduto nel progetto. Il Festival durava un giorno e si poneva già come una vetrina della giovane danza.
L'etichetta "giovane" è molto usata al giorno d'oggi, devo dire spesso a sproposito. Si dice "gruppo giovane" per indicare persone con ormai quindici anni di esperienza, per esempio. Voi, nella vostra decennale attività, ne avrete incontrati molti di giovani "veri"...
MF. Il mio lavoro di coreografa mi ha portato a conoscere davvero tanti giovani, soprattutto nell'ambito della formazione laboratoriale. Il fatto che questi esordienti riconoscano in me una coreografa che propone un codice originale, è stato forse il motivo principale che ha spinto molti di essi ad avvicinarsi a me. Ognuno di loro ambisce a raggiungere un linguaggio coreografico personale, cosa molto difficile nella danza: in questo campo l'innovazione è pressoché nulla, le istituzioni continuano a sostenere solo la tradizione. L'espressione "danza contemporanea", che dovrebbe far riferimento alla punta di una ricerca, si riferisce all'innovazione americana dei '70. In Italia abbiamo un gap di quasi trent'anni!
Il danzatore giovane, a differenza dell'attore, deve passare per anni e anni di duro lavoro: chi fa danza di tradizione è sottoposto a un rigidissimo condizionamento corporeo fin da tenera età. È come se anche il pensiero subisse questo condizionamento. Il pensiero corporeo viene delegato, viene affidato a qualcun altro. Se dai cinque anni ci si deve solo ed esclusivamente rifare a codici non propri, sono convinta che anche la mente diventi remissiva e meno propositiva.
Selina Bassini (SB). Un fattore che tengo a sottolineare è che agli inizi del Festival sono passati danzatori e coreografi che ora sono ampiamente affermati: MK, Catia Dalla Muta, Francesca Proia, solo per fare qualche nome. Insieme al festival, sono cresciuti molti degli artisti che abbiamo ospitato. Questa, credo, sia la scommessa di Lavori in Pelle: dare visibilità ai giovani per poi permettere loro, se lo meritano, di camminare con le proprie gambe.
Il vostro lavoro di selezione si basa sulla preliminare visione di materiali video che i gruppi vi mandano. Come riuscite a orientarvi nella sterminata quantità di audiovisivi che immagino vi pervengano? Qual è l'iter che porta a scegliere i 15-20 lavori che ogni anno presentate?
SB. Il primo passo, indubbiamente, è una catalogazione di tutte le domande.
Già il fatto di saper compilare la dettagliata scheda di partecipazione ci fa capire con chi abbiamo a che fare! Spesso le compagnie hanno pochissime competenze amministrative e organizzative... ci si concentra sulla danza e sulla poetica e si tralascia tutto il resto. Alcuni, per esempio, alla domanda: "Avete l'agibilità Enpals?" ci rispondono: "no, noi siamo danzatori"!
MF. È vero. Occorre rendersi conto che l'arte ha riflessi sulla politica e sul sociale, dunque non si possono tralasciare gli aspetti gestionali. I gruppi giovani lamentano la mancanza di spazi e di tutela. Per esempio, finchè non ci si costituisce in personalità giuridica non si è nella posizione di rivendicare alcunché.
Una volta che vi sono arrivate tutte le domande compilate che succede?
SB. Inizia la fase di visione dei materiali video. Ci capita di vedere di tutto, dai gruppi di folklore al balletto! Avviene una scrematura a partire dalle circa 100 domande annuali. Inizia una "indagine" sulle persone che riteniamo più valide: le contattiamo telefonicamente, cerchiamo di conoscerle meglio, facciamo una riunione con il nostro direttore tecnico per capire se siamo in grado di venire incontro alle loro richieste "di palco" etc... Alla fine restano 15-20 compagnie. Questo è uno degli anni peggiori: abbiamo pochissimi fondi e i gruppi sono un po' meno del solito.
Affrontiamo il discorso del pubblico. Nelle edizioni a cui ho avuto occasione di partecipare ho sempre trovato un pubblico attento, acuto, fatto in gran parte di gente "comune". Qual è stato, se c'è stato, il vostro lavoro di pedagogia sugli spettatori?
MF. In effetti il pubblico di Lavori in Pelle è indigeno, e sono tutti spettatori che osservano e rielaborano. È un percorso complesso che abbiamo intrapreso con gli abitanti di Alfonsine: chiediamo loro di ospitare in modo informale un danzatore ("Adotta un danzatore"), abbiamo fatto spettacoli nelle case e li facciamo tutt'ora dalle parrucchiere, nelle vetrine, in stazione, nella Coop.
Le nostre signore, dopo avere visto gli spettacoli, fanno della vera e propria critica. Fanno i confronti tra il lavoro della stessa compagnia nell'arco di più edizioni. Ecco una delle nostre scommesse vinte.
SB. Quello di Alfonsine è sicuramente il pubblico migliore che abbiamo costruito. È il risultato del lavoro di questi dieci anni. Pur fra dubbi e difficoltà, abbiamo sempre insistito in questa direzione: proporre qualcosa che la gente fosse poco abituata a vedere. Ma tentando di avvicinarlo al loro mondo quotidiano. Ecco il senso degli spettacoli in contesti urbani, per esempio.
Anche con "Ammutinamenti", festival di danza urbana a Ravenna, abbiamo intrapreso un discorso simile, ma i risultati per ora sono stati di gran lunga più lusinghieri ad Alfonsine.
Il programma si apre con un grido d'allarme per il futuro del Festival. Avete messo persino una "x" sulla vostra storica locandina. Leggiamo che senza gli adeguati appoggi il vostro lavoro di promozione dei gruppi giovani si disperderà e auspicate un salto di qualità per la rassegna.
Ci volete dire con più precisione a cosa pensate quando parlate di "salto di qualità"? Come vi immaginate possa avvenire un possibile passo avanti per Lavori in Pelle?
MF. La risposta è molto semplice. E parte da domande altrettanto semplici, ma che oggi non trovano adeguate risposte: chi si prende carico di tutelare i giovani che intendono creare un linguaggio originale nella danza? Cosa intendiamo con il termine "promozione"? Sostenere chi è agli esordi per permettergli di consolidare un linguaggio o andare a finanziare chi già percepisce da tempo denari pubblici?
La situazione per la danza in Emilia Romagna è ferma da tempo. Negli ultimi quarant'anni è stato fatto poco o nulla.
È una precisa volontà politica che esclude la danza di ricerca dai finanziamenti. Le regione ha deciso di non occuparsi di danza.
SB. Eppure, paradossalmente, dal territorio regionale sono nate compagnie molto importanti... il panorama artistico è piuttosto fertile, e non è stato reso asfittico dalla mancanza di fondi. Chi ne sentiva l'urgenza è andato avanti con le proprie forze.
MF. È vero. Infatti non stiamo invocando un assistenzialismo, ma un sostegno, un riconoscimento a un lavoro ormai avviato da tempo.
L'Emilia Romagna dice di volersi contrapporre alla politica di tagli del ministero... ma nella danza questa tendenza contraria non si vede.
Il mio sogno è che la Regione, un giorno o l'altro, si renda conto che ci sono "figli sani" nel suo territorio (come Lavori in Pelle), e che inizi una politica di sostegno e responsabilità in modo da permettere loro di fare fronte unitario nelle richieste al ministero.
Quello che tentiamo di promuovere è un codice non irreggimentato, non manipolato, che esula dalla tradizione. Ed è proprio la tradizione, al contrario, a venire sostenuta finanziariamente. Penso che il linguaggio della danza, e dunque del corpo, se decide di uscire dal tracciato canonico sia uno dei più "pericolosi"... E dunque comprendo la reticenza di certe istituzioni.
SB. Ora siamo a un punto di svolta: o le cose cambiano, oppure sarà veramente difficile continuare solo con le nostre forze.