Due donne in tailleur nero. La stessa camicia a fiorellini azzurri. Lo stesso caschetto mogano. Lo spazio diviso da un sottile filo bianco. Due sezioni di piano perfettamente uguali e separate. Paola Lattanzi, coreografa diplomata alla Hogescool voor de Kusten di Amsterdam, da un lato, e la danzatrice Giada Bevilacqua dall'altro. Le figure si sdoppiano, si replicano in una gestualità precisa e sincopata che vive ora nella sincronia, ora nello sfasamento temporale in cui l'una sembra la rifrazione dell'altra.
Un sosia. Una sorella gemella. Un doppio di quelli che morbosamente attraversano i romanzi di Kafka e Balzac? No, nelle intenzioni del gruppo si tratta di un palindromo scenico. Traslata dal linguaggio dell'enigmistica, le sequenze coreografiche di ebe dovrebbero risultare leggibili sia da sinistra verso destra che da destra verso sinistra, mantenendo lo stesso impatto visivo. In entrambi i sensi di lettura due corpi identici. Ma se etimologicamente "palindromo" significa "corsa all'indietro", il loro procedere a ritroso si sfasa, nel corso dell'azione, verso l'errore, la diversità, nuove traiettorie. A volte, nella partitura sembrano rimanere punti di tangenza, sovrapposizioni gestuali che finiscono per indicare, una volta di più, la sopraggiunta differenza. L'unisono è ora solo coincidenza fortuita di azioni.
Un fondale arancio opacizza i corpi semivestiti. Mostra silhouette. Una fisicità androgina e la sua controparte femminina cedono a movimenti sempre più convulsi. I corpi si disconoscono, si spogliano delle somiglianze, rivendicano un'identità. Dissociazioni della coscienza sublimate da una scissione fisica?
Ebe del gruppo romano MIIA procede per quadri giustapposti in cui la danza, il video di donne e bambine che saltano la corda e i brani musicali, sono articolati in modo da creare contrappunti prevedibili, in cui la funzione di stemperare ironicamente la coreografia complessiva, come il gioco con decine di mutande colorate, non può che smorzarsi in un ultimo, alternato respiro artificiale.