RECENSIONI > Se gli eroi greci si mettono a giocare a calcio?
Nella piazza principale di Alfonsine è tracciato a terra un campetto da calcio con farina o gesso. Centrocampo senza area di rigore e porte. Due fari con puntamenti laterali come quando sei allo stadio o per strada, con quel riverbero da neon, a volte fastidioso. Non ci sono porte, perché non ci sono goal da segnare, solo azioni e contropiedi. Due danzatori, forse calciatori. Un pallone in cuoio marrone. Replay e fermo immagini si confondono in pose fotografiche. Davanti agli occhi già l'album delle figurine Panini. Una quarzina sparata sul viso e si riconosce la tensione della finale, visi contratti che scorrono sul televisore farfugliando qualche inno nazionale.
È Radiocronaca, versione urbana di venti minuti dello spettacolo della Compagnia ICS, una rincorsa al sogno, al desiderio continuamente vissuto nello scarto, nell'attesa di un compimento sempre differito: una "scartatella", un corpo si immobilizza nella lotta agonistica e l'altro lo insinua, lo invade. È la volontà caparbia del bambino che non accetta la fissità del già accaduto.
Le sequenze sceniche si articolano in una partitura capace di restituire al gesto coreografico una misura quotidiana mai nostalgica; si nutre della gestualità calcistica senza farne una citazione abusata; crea, piuttosto, sottili intersezioni tra i corpi. Marcare a uomo è un rincorrersi alla ricerca di un dialogo, scaramucce da bambini che per strada si improvvisano campioni. Radiocronache mute di sogni gridati che sanno di quella retorica che non fa paura. E i calciatori diventano arbitri, padri, adulti, eroi.
A rompere l'equilibrio silenzioso di queste incursioni, canti popolari greci di protesta diventano non solo contrappunto ritmico, ma le spie di trame più sottili. È la storia di Filottète, l'arciere abbandonato nell'isola di Lemno, che torna ad intrecciarsi con il lavoro di Lady Godiva. Sì, perché l'eroe escluso e riconvocato nel teatro di guerra troiano per la potenza delle sue armi, è stato già al centro di un altro spettacolo della giovane compagnia ravennate attraverso la riscrittura del drammaturgo tedesco Heiner Müller, rovello del regista Eugenio Sideri. Questa volta il nodo tragico degli eroi greci ci intreccia alla mitologia moderna e popolare del calcio. È la voce inconfondibile dell'affabulatore Ascanio Celestini, autore del testo, a tessere orditure poetiche e rimandi potenti in cui Achille, Patroclo e Filottète fanno la loro partita, già morti, dove l'io che narra non si esime dal rendere il senso della propria piccolezza di fronte a ciò che accade: la guerra, la morte che annienta gli individui, i popoli, le epoche. I frammenti testuali di Celestini liberano il potenziale immaginifico ed evocativo racchiuso nelle grammatica gestuale dei danzatori, calibrata in un'orchestrazione di registri differenti che vivono nel segno di un atto continuamente da farsi, un atto che continuamente sembra necessitare il racconto. Cortocircuiti. E poi una sofferenza tragica sul volto, diventa il segnale chiaro che il campo da calcio è diventato campo di battaglia: pullulare indistinto di vivi e morti, di eroi perdenti. Filottète con la maglia a strisce bianco-rosse giace a terra, trafitto dalle stecche del calcio balilla.
Radiocronaca vive in questa cifra esile e commovente che ci racconta di bambini che tracciano campetti da calcio con la farina e, ammiccando alla frenesia e al gioco combattivo dell'infanzia, parla, attraverso il mito, del ciclo di vite, cronache impossibili di vite e ci lascia, infine, dopo averci divertiti con queste parole: "Fine dell'ultima fine. Fine."