Se il corpo è il luogo originario del sentire individuale e dello scambio simbolico, la ricerca intima di una propria verità non può che esprimersi attraverso una continua sperimentazione del movimento. Il percorso volutamente introspettivo del giovane Tino Schepis si rende manifesto nelle tappe coerenti del suo lavoro: dal 2001 infatti, anno del debutto ufficiale con Spettri, il danzatore diventa coreografo di se stesso, tagliando il cordone ombelicale con i maestri per cercare piuttosto un'originalità autentica a partire dalla riscoperta delle proprie passioni e dalla ricchezza d'immagini della memoria autobiografica. Lo stimolo creativo nel recupero di un'istintualità primordiale arriva spesso dai ricordi d'infanzia e da quella musica che riesce ad aprire nuove dimensioni, mondi altri la cui esistenza può essere solo percepita: "Adoro la musica dark – i Cure in particolare – perché sa regalare la possibilità di un'intuizione diversa, permettendo la discesa nelle viscere dell'anima" racconta Schepis stesso.
Nelle movenze animalesche della danza del danzatore milanese è racchiusa la necessità personale di un gioco continuo con le proprie forme, il trasformismo sadico e poi ingentilito si giustifica nell'esplorazione di mondi paralleli in cui si fondono bisogni di aggressione e non omologazione così come di individuale accettazione e messa in discussione continua. Un lavoro così concentrato sul proprio ego autoriale risulta, evidentemente, di difficile condivisione e comunicazione, ma la scelta del coreografo nelle ultime produzioni – tra cui Amniosi in programmazione qui a Lavori in Pelle – diventa quella di aprire la scena ad altri interpreti, non nella direzione di un incontro quanto nella ricerca di una vicinanza e similarità di percorsi. La strada è impervia e il rischio di rimanere imbrigliati nelle maglie del proprio privato sempre dietro l'angolo.