CRONACHE > Carta, l'happening di un caso apparente
Diceva Schopenhauer che l'ironia è lo scherno nascosto sotto il velo della serietà mentre l'humour è il serio travestito da motto di spirito.
Entrambe le componenti si ritrovano nella provocazione che il giovane Vincenzo Carta lancia in Audience with solo a fiction of democracy: con garbata insistenza costringe lo spettatore a svegliarsi dal torpore della visione per compiere, seppur con estrema difficoltà, delle scelte chiare, possibilmente urlate. Al pubblico infatti non solo è affidato il difficile compito di scegliere musica e costumi per la performance e di offrire suggestioni tematiche alla coreografia, il gioco prevede anche che le aspettative di ciascuno arrivino forti e chiare al conduttore con penna e taccuino che sul palco annota tutte le indicazioni.
«Tra i pubblici più silenziosi che abbia mai avuto», commenta Carta subito dopo: paradossalmente spettatori abituati ad essere interpreti – ad Alfonsine, si sa, sono spesso numerosi gli addetti ai lavori – rimangono ancor più imbrigliati nelle convenzioni dei formati, nelle prigioni delle consuetudini. E così, nonostante le più bizzarre e spontanee fantasie dei bambini, abbandonata l'ipotesi di coreografare il funerale di Berlusconi o i tremori di un culturista innamorato, al danzatore è data la possibilità di improvvisare su "ciò che avrebbe fatto se il pubblico non ci fosse stato". Quando l'audience lascia spazio al solo, scopriamo che, oltre ad essere ironico e autoironico, il Performer è anche bravo e non ha paura di danzare per la semplice piacevolezza del corpo in movimento.
Tra gli applausi non ci si può non chiedere come la performance sarebbe stata diversa sotto la guida di tutt'altre indicazioni: il dubbio rimane, accompagnato dalla voglia di rivedere il lavoro altrove. Potrebbe risultarne un acuto saggio antropologico sulla nostra ormai trasparente illusione democratica.
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