FOCUS > Le residenze creative. Una riflessione.
Le residenze vanno pensate e progettate principalmente come luoghi di pensiero.
Luoghi di studio, ricerca e sperimentazione.
Nei tempi e nei modi di cui gli artisti hanno facoltà, hanno necessità.
Luoghi per dare corpo e respiro ai pensieri.
Per sostenere la crescita di processi culturali e artistici.
Con la possibilità di produrre delle nuove opere contemporanee.
Per questi motivi, le residenze vanno intese soprattutto come laboratori permanenti, officine aperte, senza pensare, subito, ai risultati e all'esito finale.
Luoghi di scoperta per verificare nuove ipotesi di ricerca.
Per concentrarsi sul proprio lavoro.
Per incontrarsi con altri artisti, pensieri, sguardi, opere.
Non prima e non dopo, insieme.
Luoghi dove sia anche possibile perdersi nella lentezza e nella bellezza della ricerca, senza raccogliere nulla, per il momento.
Senza risultati evidenti, per sé e per gli altri.
Luoghi d'incontro e di confronto dove gli artisti e gli artigiani del pensiero trovano le condizioni indispensabili per conoscere e per conoscersi.
Per imparare e per sbagliare.
Per interpretare il "diritto all'errore" come un fattore di crescita.
Le residenze creative devono favorire la libertà degli artisti di indagare territori sconosciuti, sospendendo, in quel tempo e in quello spazio, l'ansia di produrre e dimostrare subito dei risultati.
È possibile, ma non obbligatorio, che al termine di una residenza la compagnia senta la necessità di incontrare il pubblico per una prima verifica della propria ricerca.
E quando questo accade, quando nelle residenze si creano le premesse per un incontro non convenzionale fra gli artisti e il pubblico, allora si genera un'energia vitale per entrambi; un'energia che si moltiplica, che produce altra energia, per le persone e per il luogo di residenza.
Oggi più che mai, le residenze creative sono diventate una modalità necessaria per favorire la qualità delle nuove produzioni.
Per gli artisti, soprattutto.
Per il sistema teatrale nel suo complesso.
Per sviluppare una relazione continuativa fra gli artisti e il territorio.
Per capitalizzare le singole esperienze (processi artistici e produzione di opere) all'interno di una comunità, un paesaggio, un ambiente.
Quali sono, allora, i "nuovi pericoli" delle residenze creative?
Le residenze creative non vanno intese solo come centri servizi.
Non possono essere ridotte semplicisticamente a "merce di scambio" per gli organizzatori e i produttori.
Non si può chiedere agli artisti residenti anche di educare il territorio.
Non si può chiedere agli artisti residenti anche di organizzare il consenso.
Si può fare, evidentemente.
Esistono delle esperienze di residenza in cui alle compagnie si chiede anche di occuparsi di organizzazione e di promozione, e non solo di concentrarsi sul proprio lavoro creativo, di ricerca e di produzione di spettacoli.
In queste situazioni, le compagnie accettano il rischio di diventare dei bravi organizzatori, perdendo così di vista la centralità del proprio fare teatro, in scena.
Le residenze creative non possono essere concepite, dagli artisti e dagli enti, come una nuova modalità di lavoro per risolvere vecchie problematiche amministrative e di politica culturale del territorio, di occupazione di spazi vuoti, vuoti di memoria, idee e progetti, antichi deficit produttivi: mancanza di finanziamenti, spazi, ospitalità, ecc.
Il significato profondo delle residenze creative, a mio avviso, è quello di esprimere dei progetti profondi, complessi, difficili, critici, per condividere un pensiero tanto straordinario quanto semplice e vitale per il presente e per il futuro del teatro: difendere e proteggere il "lusso" della ricerca, soprattutto per le nuove generazioni di artisti.