Sempre ad Armunia altro spettacolo che merita una segnalazione tutta particolare è 1939 dei Sacchi di Sabba. Un titolo che è certamente una data storica, ma che vien qui utilizzata non tanto per qualche preciso riferimento, bensì più in chiave “simbolica”. Siamo sull’orlo del baratro, un ministro arriverà in una cittadina di provincia e sembra sia pronto un attacco “terroristico” da parte degli anarchici. È un falso storico e tutto il lavoro procede per scene ben divise tra loro dove alla storia inventata si mescolano elementi salgariani, cinematografici (e il tormentone su Amedeo Nazzari), cenni di melò, di noir e poi il teatro, Ibsen e Amleto soprattutto…
Ma la ricchezza di riferimenti colti e démodé non appesantisce lo spettacolo, ma lo rende invece di grande immediatezza e caratterizzato soprattutto da un uso tutto particolare del “comico”. Le scene potrebbero essere quelle di un film e continuamente si creano delle interruzioni tra la “rappresentazione” e una presunta “realtà”. Sono continui inciampi, continue vie di fuga da una dimensione teatrale alla ricerca di una “autenticità” che venga fuori proprio da un pericolo che si corre. E i Sacchi di Sabbia con grande raffinatezza giocano su diversi piani ma sempre innescando questa sorta di “limbo”. È impossibile compiere “l’azione”, che nella storia dovrebbe essere “uccidere” il ministro. Non si tratta più nemmeno di bene o male o di questione etica, ma è come se i Sacchi di Sabbia si insinuassero dentro una dialettica “mazziniana” e ne indicassero la crisi: la tragedia sta proprio nel fatto che il “pensiero” è diventata una dimensione totalmente separata dall’”azione”. L’azione (di ribellione, cambiamento, opposizione...) è impossibile e quando accade, è solamente nella finzione di una recita. Se l’azione è bloccata, ed è qui che spunta il fantasma di Amleto con i dubbi e i tormenti, anche gli attori sembrano sospesi in un’immobilità che acquista uno spessore molto sottile e inedito.
Cosa rischiano i Sacchi di Sabbia in questo lavoro? È sostanzialmente questa la domanda da porre. In bilico vi è forse il maggior talento che il gruppo tosco-napoletano ha in dote, ovvero la comicità. In un certo senso i Sacchi di Sabbia mettono in gioco proprio la comicità, perché siamo sempre sull’orlo del fallimento che in questo caso consiste nella trasformazione di una ipotetica risata in una dimensione di “ridicolo” o di “teatrino parrocchiale”. È come se il tempo comico avesse un “battuta” in più, come se si prolungasse di un non nulla il ritmo magico della risata. L’impressione iniziale è quindi che siano “battute venute male”, con un imbarazzo che cresce nel tempo. Il comico si dissolve in un vapore acqueo che pervade la scena e sembra non precipitare mai in uno scroscio risolutore. Attraverso questo raffinato procedimento, sembra che il comico subisca lo stesso processo di tutta la scena. L’azione impossibile da portare a termine è anche quella di una risata che non scoppia mai secondo i ritmi canonici, ma arriva solo dopo aver percorso una strada inaspettata e sorprendente. Una risata vi seppellirà… forse, o forse no. Non si può seppellire nessuno con una risata, se non ci infiliamo anche noi nella tomba. E infatti quando si ride è perché il nostro Orazio, colui che dovrebbe ascoltare e raccontare le vicende tragiche a cui ha assistito, si è trasformato in uno scimpanzé. Siamo in ottime mani…
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