Un castello, un piccolo paese sulla costa tirrenica, e due settimane di festival che fotografano con alta dose di coraggio ( e di rischio) la molteplicità delle arti sceniche della penisola e non solo. Sembra essere questa la cifra di Inequilibrio, rassegna giunta alla sua decima edizione grazie all'impegno di Armunia – Festival costa degli etruschi. In tempi di contaminazioni, di incroci necessari e molto contemporanei fra discipline, a Castiglioncello si mostra invece qualcosa di diverso: l'intreccio di linguaggi disparati sembra non avvenire all'interno dell'opera d'arte, quindi dello spettacolo, ma all'interno del contenitore, il festival, capace di accogliere lingue radicalmente diverse scommettendo sul senso della differenza. Ecco allora tornare centrale lo spettatore, che non può non fare proprio uno sguardo prismatico, sgombro da preclusioni di codice, messo a confronto nella stessa sera con declamazioni dei Paladini di Francia, partiture danzate o con biografie di Mazinga Z. Procediamo con ordine.
Arrivando a Castiglioncello, già dalla ferrovia s'intuisce che il fulcro del paese si concentra intorno al Castello Pasquini. Un cancello imponente segnala la breve salita che dalla statale conduce alla corte. Già questa potrebbe essere una metafora sensata del teatro in tempi di invasione mass-mediatica: luogo protetto da spesse mura medievali, il cui accesso è consentito a pochi, comunque previo sforzo e investimento personale. Siamo dentro, e la prima sera ci si sposta nella “tensostruttura”, tendone teatrale che rinchiude i disabili guidati da Maurizio Lupinelli per il suo Marat. Il marchese De Sade-Lupinelli si aggira urlante, sprona e batte i suoi attori/personaggi, vigilati e a tratti respinti da una schiera di poliziotti in divisa antisommossa. Ci sono sfide di pallacanestro, rievocazioni dei giorni rivoluzionari di Francia, il tutto incarnato da una combriccola di malati mentali come aveva scritto Peter Weiss nel suo dramma. Gli attori si ribellano, coprono le parole di un compiacente direttore dell'istituto, ribaltano le parti e maltrattano i guardiani dell'ordine in una lunga scena che trasfigura l'azione rallentandone i ritmi naturali. Mentre monta una frastornante “Life is life”, una ragazza in sottoveste bianca che aveva provato più volte una caduta con un coltello finalmente si adagia nella giusta posizione. Come già nella drammaturgia originaria, l'operazione di Lupinelli ci restituisce un'agghiacciante dimostrazione di una linea temporale incartata, non più capace di procedere: Sade concerta l'evoluzione delle azioni, la rivoluzione c'è già stata, i segni dell'uccisione di Marat sono già interpretabili, resta solo la presenza incombente di una schiera di polizia a difesa di un eterno presente sempre più plumbeo.
Spostandosi a Vada, in un eloquente “teatro l'ordigno” che rievoca la vicina industria della soda a Rosignano Solvay, in prima nazionale si poteva assistere a Prologue d'une scène d'amour del coreografo finlandese Juha Marsalo. Parte di un trittico sulla relazione amorosa, il lavoro sembra riscrivere sui corpi dei tre danzatori (due uomini fra i quali lo stesso Marsalo e una donna) la figura ormai archetipica del triangolo amoroso. Una partitura femminile spezzata, fatta di cadute al suolo, torsioni, salti avvitati attorno all'asse corporeo viene dapprima imitata dai due interpreti maschili, che poi si alternano nello spazio disegnando lacerti di figure: un abbandono attraverso la ragazza che piange, un tradimento in due corpi stesi a terra mentre il terzo guarda pensoso, la contesa della donna che viene manovrata e pilotata in ogni sua mossa. I gesti della partitura vengono ripercorsi a velocità raddoppiata, come un fast forward coreografico: le luci calano con la donna intenta a ripetere sola la stessa ossessiva sequenza gestuale, ulteriore figura sfuggente di una trama narrativa che la danza non riesce più a ricostituire.
Ma Castiglioncello non è solo spettacoli. Come ogni luogo dove si produce cultura, contano anche le relazioni, gli incontri notturni, i bicchieri di vino mentre animatamente si discute. Cosa hanno in comune le rappresentazioni teatrali e le lasagne di cinta senese mangiate nell'aia dei produttori locali? La notte è lunga, e se racconto che che in pochi ti pagano per scrivere di teatro le antenne di uno dei responsabili dell'azienda si mettono in ascolto: « Hai ragione, siamo il paese con la migliore tradizione di artigianato, e l'artigianato si sta perdendo. Io assemblo i pannelli solari, e sappi che tutta la costruzione viene fatta all'estero. Noi ci limitiamo, essendo anche il paese con più sole d'Europa, a comprare all'estero i pezzi e a montarli insieme. Ecco che allora io, nel tempo libero, mi dedico all'azienda agricola. Noi sui numeri perdiamo, sulla qualità invece no. Su questa dobbiamo puntare. Con l'azienda facciamo mercati, andiamo nelle piazze, la gente sa che ci siamo, se vuole. Allo stesso tempo, ci teniamo a non diventare alla moda, o “di massa”. Un po' come il teatro qui al castello. Bisogna prima di tutto recuperare il valore delle cose fatte con la fatica e con la passione, e non dobbiamo avere paura che queste siano per pochi».