E’ sempre un po’ difficile quando si parla con un autore, affermato nella scrittura teatrale e dal percorso personale e professionale già abbastanza definito, accostarsi al tema complessissimo della drammaturgia italiana, così eterogenea, così multiforme e diversa…
Ammesso che non se ne faccia un problema di categoria a tutti i costi (perché non tutti i drammaturghi sono uguali) , è vero e va sottolineato che la drammaturgia italiana è risorta da un ventennio a questa parte e sta facendo moltissimo. Dopo gli anni Ottanta ha tentato di affermarsi nei teatri e oggi è in effetti sempre più visibile. Io so che in questo momento ci sono almeno 5/6 autori italiani validi, alla schiera dei quali spero di appartenere anch’io, messi in scena di frequente e tradotti all’estero. E questo dà l’idea dell’importanza che sta acquisendo la nostra drammaturgia.
Riccione, con i quattrocento/cinquecento copioni che giungono a ogni edizione, è un altro indizio di un segnale forte di interesse. Poi se li analizziamo più da vicino - questo lo dico da giurato con due anni di esperienza - spesso i testi vengono un po’ buttati lì, magari da professionisti del teatro, attori, registi, anche scenografi... Chiaramente si legge nell’improvvisazione di questi testi la scarsa considerazione della scrittura teatrale, come se la drammaturgia fosse una palestra, una prova minore. Francamente di fronte a questo atteggiamento io un po’ mi offendo, perché credo che invece la nuova drammaturgia sia indispensabile per il nostro teatro e richieda da aprte di chi la fa il meglio della creatività.
A proposito di professionisti dell’universo teatrale che sempre più si rivolgono alla scrittura drammaturgica, anche come prova inedita di un’alternativa al loro mestiere specifico, il Premio, quest’edizione, come quelle passate d’altra parte, registra il dato premiando una quantità crescente di attori-autori. Tu cosa ne pensi?
Il passaggio alla scrittura teatrale dalla regia, come dall’universo degli attori, è assolutamente legittimo e possibile. Spesso però ho l’impressione che si tratti di gente disoccupata, che ha molto tempo libero e pensa che scrivere sia un buon passatempo. Certe volte, leggendoli, ho l’impressione che la motiviazione sia: “se ce l’ha fatta un cretino come Erba, perché non posso provarci anch’io?” Ecco, questa sottovalutazione mi fa arrabbiare perché è come sei i teatranti considerassero poco se stessi. Come se interiorizzasero la sottostima della società nei riguardi del teatro. E così si sottovalutano e sottovalutano il loro lavoro e le loro specificità. Come gli insegnanti, che hanno un ruolo assolutamente fondamentale ma siccome la società li considera poco, li paga poco, li tratta come paria della cultura, anche loro hanno poco stima di quel che fanno.
…Oppure si assorbono le imposizioni/imposture ministeriali che stabiliscono per via economica e realizzativa l’esigenza di testi il più possibile scarni, di facile fruibilità e accordati con i gusti di massa, fino a esiti assolutamente essenziali, economizzanti, come la tendenza sempre più diffusa al monologo, che senz’altro ha anche esiti pregevoli, ma a volte pare più un espediente al risparmio…
Certamente il monologo è più economico da produrre e, quando va bene, serve anche all’attore per affermarsi più velocemente. Quella della narrazione comunque è senz’altro una zona importante del teatro. Ma è uno sport differente rispetto a quello che pratico io. Il monologo narrativo è un motore su due ruote, il dramma è su quattro. Anche se si muovono sullo stesso circuito, sono macchine diverse. Non che una sia meglio dell’altra. Sono diverse e basta. A me per esempio alcuni narratori piacciono molto, come amo molto certi gruppi di ricerca o certi spettacoli di teatro musicale. Mi piacciono le cose belle, mi piacciono le cose che mi piacciono.A qualsiasi universo appartengano.
Per quanto riguarda invece la tua scrittura, mi sembra che si tratti di una drammaturgia che si districa molto equilibratamente tra una ricostruzione quotidiana e realistica e uno sfondo surreale metafisico, senza ricadere negli estremi di molta drammaturgia contemporanea che si vuole o riproposizione assolutamente sterile e televisiva di ambienti quotidiani o eventi cronoschistici, oppure rivisitazione surreale di universi inesistenti.
Assoluto e quotidiano sono due estremi tra cui bisogna mediare, come Icaro: non troppo vicino al sole, non troppo vicino al mare. La via del mezzo è giusta, entrambi i poli vanno tenuti insieme.
Io poi ho una predilezione per lo slittamento metafisico (ma non sempre, per esempio nell’ultimo testo che sto scrivendo IL GIARDINO DEI FIORI CHE VOLANO, l’orizzonte è totalmente realistico e psicologico). Mi stimola molto stare in una via di mezzo tra realtà e sogno, sperando di trovare lì un buchino che mi fa entrare in una realtà più grande. Di solito parto da un disegno potente, che mi stimola a scrivere. Mi piacciono le architetture robuste, non mi lascio andare facilmente a suggestioni “romantiche”.
Cosa pensi del fatto che siano stati i più giovani in quest’edizione del Premio a spopolare? So che come giurati non avete tenuto primariamente conto delle età, però alla fine quello che sembra emergere è che forse c’è la speranza che siano proprio loro le nuove leve della drammaturgia.
Anche se forse non mi converebbe dirlo per ragioni anagrafiche, il fatto che i giovani battano i vecchi mi ha fatto piacere. Chi non crede nelle nuove generazioni è un coglione. La specie va avanti, migliora. Certo per far tesoro di quello che c’è stato prima bisogna studiare sempre di più, perché il portato del passato s’ingrossa ogni giorno che passa. Ma con una certa dose di audacia e di cialtroneria, i giovani possono superare questa difficoltà e andare avanti.
Forse posso prevedere la tua risposta a questa domanda, ma te la faccio ugualmente… come ti collochi rispetto all’opinione sempre più diffusa tra gli “accademici” – mi riferisco, come intuirai, alla posizione sostenuta da Claudio Meldolesi in questi ultimi anni - che il dramma, o meglio, la forma drammatica, siano ormai esaurite e che prendano invece sempre più spazio “i drammi” dei singoli autori?
La posizione di Meldolesi è semplicemente contraddetta da tutti i palcoscenci del mondo e dall’editoria mondiale. Anche Carmelo Bene diceva che il cinema era morto (quando ha smesso di farlo lui). Sembrava una profezia, invece andiamo ancora nelle sale, vediamo i film. giovani registi si impegnano a farne dei nuovi. Escono anche dei capolavori... Forse Carmelo aveva visto troppo avanti, nell’anno 3000 dopo Cristo. Lo stesso vale per Meldolesi: magari la sua profezia fra trecento anni vien buona. Ma oggi la drammaturgia: come fa a essere morta se in tutto il mondo è rappresentata? Guardiamoci intorno e osserviamo cosa ci dicono i dati. Forse dà segni di stanchezza rispetto ad altri momenti storici, ma non celebriamo ancora la sua morte, per favore.
Infine rispetto a quest’edizione hai qualche considerazione da fare come giurato-autore?
Ho preferito l’edizione precedente: l’edizione del 2003 è stata più ricca e con tante cose più stimolanti. Ad esempio a me era piaciuto moltissimo il testo di Enrico Fink, mi aveva molto commosso. Quest’anno Happy Family mi ha molto divertito: è scritto con una certa disinvoltura e capacità di confronto con i caratteri, certo è anche molto narrativo, con tanti monologhi, soprattutto interiori, e quindi più difficilmente rappresentabile. Quello del vincitore napoletano, Mimmo Borrelli, confesso di averlo capito solo al 50%, ma si meritava sicuramente il premio: c’è dentro tanta inventiva, capacità linguistica e ingegno. E da quello della Buffoni, vincitrice CGIL, che è comunque un testo ben scritto e profondo, potrebbe venir fuori un bell’originale televisivo.
Quello che conta in fondo è che essendo un premio per inediti, abbiano vinto nomi non ancora noti.