Ci puoi raccontare come sei arrivata a questo testo, è la prima cosa che scrivi?
Sì, e fino ad adesso mi sono occupata sempre di cinema e in particolare di documentario. Ho condotto delle ricerche sul valore della “memoria” e della “testimonianza” a partire da documentari. Durante il lavoro mi sono imbattuta e confrontata con diverse storie, spesso sconvolgenti, della Resistenza e alcune di queste storie mi sono rimaste dentro finché non ho letto un racconto inedito di un mio amico che si chiama Francesco Trento (e che verrà presto pubblicato da Einaudi). Racconta la vicenda di una donna che per scappare dai nazisti è costretta a soffocare il proprio bambino. Questa è stata la molla, l’ispirazione per cominciare, anche se poi la mia storia è molto diversa e si è nutrita di tante letture e soprattutto di film.
Inizialmente volevo raccontare alla maniera di Ascanio Celestini, ma non essendo io un’attrice e non potendomi mettere in scena, ho pensato a un altro tipo di struttura che tenesse conto della sostanza vera del testo e cioè che ci fosse qualcosa di rimosso. Una memoria che deve emergere per gradi; a livello drammaturgico ho lavorato con una tripartizione del quadro narrativo e la compresenza di tempi diversi all’interno dello stesso spazio. È stato proprio lo scontro temporale a interessarmi e ci sono dei momenti nel testo in cui è immediato il passaggio tra presente e passato.
Mi sembra che questo testo abbia un montaggio più cinematografico che teatrale, penso proprio all’uso dei flashback. Forse dipende dai tuoi studi?
Certamente. Il teatro lo conosco da spettatrice. Quindi è sicuro che è venga da lì.
Perché la “Resistenza” oggi, quale valore?
Il valore secondo me è principalmente quello della memoria, soprattutto oggi in cui si affiancano i caduti di Salò e i morti per la Resistenza. Ci sono falsità e menzogne che vanno denunciate.
Un libricino molto bello uscito da pochi mesi dal titolo“La Resistenza spiegata a mia figlia” di Alberto Cavaglion, reimposta il problema della trasmissione dei saperi, della memoria. Ma si sente allo stesso tempo la necessità di prendere le distanze da tutta una storiografia di sinistra agiografica. Tu in qualche modo racconti una storia “nera” della Resistenza…
Sì, anche se va intesa soprattutto come una storia di uomini. E certe lotte hanno comportato scheletri nell’armadio. Vi erano uomini convinti e altri meno, ci sono anche i “resistenti” dell’ultimo minuto. Nel mio testo questa figura è rappresentata dal personaggio di Carlo, che oggi vota a destra e che in quegli anni si unì solo perché aveva una famiglia da difendere e perché sì trovò in una situazione del tutto di emergenza.
Perché un testo teatrale e non una sceneggiatura?
Per caso. Anche se credo che come sceneggiatura non avrebbe funzionato.
Continuerai a scrivere?
Questo non posso dirlo. Non lo so.