E’ una commedia. Happy family di Alessandro Genovesi è una commedia ‘speranzosa’ ma non stucchevole, dal lieto fine ma non consolatoria. Due famiglie si trovano a incrociarsi per caso, complice l’amore dei giovani figli quindicenni che nell’impeto adolescenziale hanno deciso di sposarsi. La cena tra le famiglie per dissuadere la giovane coppia (già scoppiata in realtà) diventa il teatro principale per nuovi amori e amicizie. Il protagonista è un “Io” narratore che esplicitamente si pone come burattinaio della storia, creatore della vicenda, ma continuamente assediato dall’ansia di protagonismo degli innumerevoli personaggi. E’ un “Io” annoiato alle prese con un quotidiano misero e privo di senso e che ritrova se stesso solo nell’amore che - secondo tradizione - arriva improvviso come un colpo di fulmine. Un incidente in bicicletta con l’imbattersi di una nuova figura è l’evento casuale che gli cambierà la vita.
Ma a caratterizzare Happy family è soprattutto il tono leggero e avvolgente che oltre ad appassionare e divertire, guarda - con una punta di cinismo - il nostro presente nella sua comica seppur squallida assurdità. Ammicca alla “fiction” e ad alcuni stereotipi televisivi, ma subito se ne distanzia giocando con la loro parodia attraverso un humor travolgente. È un testo ricco, pieno di trovate divertenti, che è pensato per il teatro, ma è costruito in molte sue parti come un romanzo. A trovare spazio sono soprattutto i pensieri dei personaggi che nella dinamica delle aspettative e delle realizzazioni innescano spesso simpatici effetti comici: “nel testo non sono presenti didascalie o indicazioni per la rappresentazione delle scene. Vi sono invece descrizioni e suggestioni che il regista potrà utilizzare a suo piacimento […] Io il mio lavoro l’ho fatto, ora siano regista e attori a fare il loro”.