L’odore assordante del bianco di Stefano Massini è un testo claustrofobico, duro che si legge tutto d’un fiato. Racconta del periodo che Vincent Van Gogh passò al manicomio di Saint-Paul-de-Manson alla fine del giugno del 1889. Ovvero la storia di una disperata sete di colore che si scontra con il bianco della struttura manicomiale. Tutto si svolge all’interno della stanza, di quella cella in cui fu rinchiuso il pittore in preda a isterismi e ad allucinazioni. Ma la forza del testo consiste soprattutto nella capacità di costruire una scena in cui il lettore-spettatore è partecipe diretto dei fantasmi e dei deliri dell’artista, è ambiguamente accolto in una mente difficilmente decifrabile e sofferta. Il fratello Theo, che per tutta la prima parte del dramma appare come unica possibile salvezza, come unica via di fuga, si rivela infine come una creatura partorita da un’ossessionante allucinazione. Il terribile mondo dei manicomi viene descritto con freddezza e crudeltà attraverso un susseguirsi di dialoghi secchi e incessanti. Il manicomio appare allora come un invalicabile muro bianco ed è solo la presenza illuminata del direttore Peyron “una traccia di colore” che apparirà in conclusione unica possibile speranza.
Ma al di là della storia, ben strutturata e ordinata nel susseguirsi degli eventi, è soprattutto la capacità di disegnare la mente sfuggente e visionaria di Van Gogh - attraverso il nitore di una scrittura secca e limpida - a dare al testo quella forza necessaria per trasmettere un forte senso di angoscia senza cedere a pietismi o a quei luoghi comuni in cui sarebbe stato facile cadere.