Quali sono le tue fonti di ispirazione, modelli o codici artistici che hai assunto e con i quali lavori attualmente?
Al momento della creazione, più che seguire le direttive dettate da uno stile, cerco di intravedere un percorso naturale che si sviluppi a partire dalle mie idee. Non amo molto le definizioni, le distinzioni strutturali da un genere all’altro. Credo nella verità del corpo, in un’attenzione che più che a stili o poetiche si rivolga alla “persona”, per diventare un’indagine in profondità. In questo senso il percorso naturale che cerco nei miei studi affronta gli aspetti comunicativi, la forza di trasmissione di immagini, messaggi, parole che nascano direttamente dal corpo.
Ad esempio proprio per questo ho amato molto l’ultimo lavoro di Yasmeen Godder, perché attraversa diversi modi di stare sulla scena e non può limitarsi a un’unica definizione. E soprattutto il corpo è realmente uno strumento creativo, non un elemento derivato e chiuso in uno stile.
Per creare le mie coreografie, inoltre, mi piace partire da esperienze personali concrete, fatti vissuti. Non sto parlando da un punto di vista psicologico, ma sociale, sensoriale, concreto, che si possa poi trasferire sulla scena nella sua piena complessità.
Come hai vissuto l’esperienza del concorso Giovani Danz’Autori? Come ti relazioni a queste iniziative create appositamente per la danza giovane?
Trovo che siano molto positive, considerato che la danza in Italia è ancora molto indietro, e di questo ho sofferto nel mio percorso. È il segno di un cambiamento, forse. In tutto il periodo del concorso sento di essere cresciuta molto, di aver potuto ridefinire il corpo nella sua potenzialità espressiva e fruibilità comunicativa, funzione sociale e verità individuale. È stato molto importante per me essere in un certo senso “costretta” talvolta a stravolgere tutto, abbandonare e ricominciare. Questo perché la giuria si è posta in modo molto costruttivo, valutando il progetto nei suoi risultati ma focalizzandosi anche sulla mia crescita personale come artista, aiutandomi a ragionare sul mio studio coreografico, che all’inizio era maggiormente legato alla forma. Mi hanno dato consigli, prestato attenzione, e tutta l’esperienza è stata certamente positiva.