La terra trema: se oggi a queste parole associassimo solo l'opera del '48 di Luchino Visconti, forse ci ritroveremmo a parlare di cinema. Ma siamo in un ambito del tutto diverso e non ce ne voglia il padre del neorealismo italiano per questo “prestito”. “La terra trema”: i più penserebbero che questa espressione si ricolleghi solo agli avvenimenti che stanno colpendo ripetutamente di ferite insanabili il nostro Paese. Ma da L'Aquila all'Emilia, fino all'ultimo drammatico episodio dello scorso 24 agosto ancora in atto di Amatrice e dintorni, la Penisola non fa che confermarsi «uno dei Paesi a maggior rischio sismico del Mediterraneo».
Conosciamo le dinamiche e i comportamenti da adottare per sottrarsi al rischio di nuove minacce? Forse no, considerando i danni, spesso irreparabili, causati dai frequenti eventi tellurici. Potremmo domandarci allora: se non possiamo prevedere l'arrivo di una nuova scossa, cosa è necessario per “fronteggiare” in maniera adeguata la sciagura? E, soprattutto, perché questi sussulti della terra generano ogni volta delle catastrofi?
Un terremoto, in pochi secondi, è in grado di annientare tutto. “La terra trema” e gli edifici si spaccano e si ammaccano, si sbriciolano come castelli di sabbia al vento. Non crolla solo il cemento, non si può, né si deve, circoscrivere il ragionamento a questo. A essere compromesso è un intero contesto, una coralità composta da persone, luoghi, piazze, strade che costituiscono un'unica immagine di storia e di consuetudini.
L'Italia ha, per sua (s)fortuna (ai lettori la sentenza), un patrimonio culturale diffuso in maniera capillare; una delle sfide più grandi – e più costose – in caso di sisma è certamente la gestione dell'emergenza ma soprattutto l'impegno messo in atto per ricostruire e recuperare i simboli della memoria generale, nonché di un'identità. A muoversi in maniera “scomposta”, a parte la “terra”, spesso sono le istituzioni; nonostante la consapevolezza della presenza di zone a rischio, che vivono in stato di vulnerabilità, non hanno ancora adottato un “metodo” o delle tecniche per la gestione effettiva del problema. I cumuli di macerie e la polvere portati dai sismi dimostrano che esistono come delle amnesie in merito agli atteggiamenti degli organi preposti, incapaci di apprendere dalle esperienze precedenti. «A cosa serve piangere? Qua bisogna ricostruire» dichiarò, durante un'intervista, una giovane friulana dopo il disastro del '76. Quel terremoto mise in moto uno spirito non solo di coraggio ma di nobile resilienza nel senso proprio del resistere, dell'andare avanti nonostante le ovvie complicazioni, anche se le scosse dei mesi successivi e i nuovi crolli delle case appena ricostruite, tramutarono quella forza d'animo in nuova angoscia.
Solo nel 2012 è stato messo a punto un modello “comportamentale” per «emergenze derivanti da calamità naturali» in riferimento ai danni dei beni culturali. Il decreto dell'Unità di Crisi – coordinamento Nazionale UCCN-Mibac parla di operazioni di rilievo del danno mediante squadre composte da un tecnico del Mibac (soprintendenza, Direzione Generale o altre strutture del Ministero preposto), un funzionario dei vigili del fuoco e, eventualmente, un ulteriore tecnico Mibac «qualora se ne valuti l'opportunità». Gli storici dell'arte, il più delle volte, forniscono il proprio contributo in veste di “volontario supporto” a chi è stato, dalla legge, autorizzato ad intervenire. Un senso di responsabilità che riguarda tanto chi custodisce la conoscenza dei beni culturali, quanto chi in quel patrimonio riconosce se stesso. E il punto di vista diventa così anche antropologico, non solo storico-artistico. Questo spiega il perché si siano come innescate delle reazioni positive sulla base proprio di una forte identità, sul bisogno di creare delle occasioni che permettessero alle persone di tornare sui luoghi dopo un “temporaneo” allontanamento al riparo in new town e fuggifuggi generali.
A L'Aquila il teatro ha rappresentato il pretesto, quell'occasione attraverso cui si è verificato il riavvicinarsi alla città in seguito alla delocalizzazione in ambienti “più sicuri”, ma a loro estranei. L'attività dello Stabile d'Abruzzo dopo il sisma del 2009 è stata esemplare da questo punto di vista. Il Comunale ha subito gravi danni quella notte; dalla scossa di magnitudo 5.8, si erano verificati crolli soprattutto nella parte del foyer, la storica sala rossa. Tanti, dall'industria cinematografica al teatro di prosa, si impegnarono per dare il proprio contributo alla ricostruzione di simboli come questo. Lorenzo Jovanotti e il leader dei Negramaro fecero appello a tutti i loro colleghi per realizzare un progetto molto significativo di raccolta fondi. Cinquantasei cantanti della musica italiana aderirono all'iniziativa che, oltre al Comunale, intendeva rivolgersi anche al recupero del Conservatorio A. Casella nel complesso di Collemaggio. Con queste premesse, negli studi Officine Meccaniche di Milano, prese vita “Domani 21.04.2009 – Artisti uniti per l'Abruzzo”, un lavoro nato in soli tre giorni che iniziò a essere trasmesso in tutte le radio un mese dopo quella tragica notte, il 6 maggio alle 3.32. L'autore del brano è il compositore e produttore discografico Mauro Pagani che “rispolverò” la sua “Domani” tratta dall'omonimo album del 2003, riadattandola a 56 voci. In tutto sono state vendute 450 mila copie (su supporto cd) e altre 74mila in formato download; la canzone ha permesso di incassare al C/C del Mibact, in soli 7 mesi (perchè dopo dicembre venne ritirato dalle vendite) esattamente 1.183.377,35 € anche se, già molti mesi dopo il versamento di questi proventi, non era chiaro in che modo – e soprattutto se a favore del TSA e del Conservatorio – erano finiti quei soldi. Finanziamenti importanti che certo non avrebbero assolto l'intero problema ma fermi, per anni, nelle casse del Ministero.
La mobilitazione per il recupero della struttura fisica, sollecitò l'interesse di altri artisti: da Alessandro Gassman (era stato nominato direttore del Teatro solo pochi mesi prima del sisma), con lo spettacolo La parola ai giurati a Enrico Brignano che pensò di prolungare di una data il tour de Le parole che non vi ho detto, devolvendo l'intero incasso della serata allo stabile d'Abruzzo. Anche il regista e direttore di Teatri di Vita Andrea Adriatico, si mosse in questa direzione. La sua volontà partiva non solamente da un impegno direi civile, ma dal legame affettivo con quella che rappresenta la sua città d'origine (L'Aquila, 20 aprile 1966). Si è occupato, nello specifico, dell'iniziativa “Salvateatri”, rivolgendo il suo appello a tutti i teatri del Paese e promuovendo così una rete di sostegno in favore degli edifici culturali colpiti. Anche l'aquilano Bruno Vespa, con la trasmissione Rai “Porta a Porta”, riuscì a raccogliere fondi da destinarsi allo stabile attivando un processo di sensibilizzazione più “mainstream”:
Questo è quanto è accaduto nella fase immediatamente successiva; da fuori a dentro. Ma è successo qualcosa anche all'inverso: da dentro a fuori. Sono stati proposti dal TSA ai cittadini appunto dieci spettacoli per la stagione 2009/2010 grazie all'impegno dell'Ente in collaborazione con ATAM (Ass. teatrale abruzzese e molisana). Dieci rappresentazioni trasferite in altri luoghi, quelli che hanno resistito alle scosse, nel ridotto, al Teatro Z e nell'Auditorium della Guardia di Finanza (i tre spazi dove ancora oggi si assiste alle rappresentazioni fino a che il teatro non sarà restituito alla città).
Dieci rappresentazioni che hanno dimostrato il bisogno e la necessità di ripartire da questi momenti di coesione sociale. Nonostante l'assenza del luogo storico deputato, si conta la partecipazione di 7.088 spettatori a fronte degli oltre 70mila euro di incassi totali.
È stata annunciata per la fine di quest'anno la riapertura del restaurato Teatro ottocentesco progettato dal Catalani, a oltre otto anni di distanza da quel tragico 6 aprile. Un arco di tempo in cui sono stati raccolti i fondi, si sono presentati i progetti architettonici di risanamento mentre l'attività culturale andava avanti con la stessa resilienza di cui si parlava prima.
Si è assistito a un doppio processo di recupero: quello materiale, per cui si è dovuto rimettere insieme i pezzi con adeguamenti tecnici «com'erano e dov'erano», e quella immateriale, ovvero la tutela e la salvaguardia di un bene come la rappresentazione, proposta anche in un'ottica “terapeutica”. Ma niente è ovvio. Niente è dovuto. Niente è messo lì senza che ce ne sia un effettivo bisogno, soprattutto quando il contesto generale è compromesso, distrutto. E allora cosa è accaduto a L'Aquila? Postumi extra-ordinari. La cultura si è messa al servizio dell'incontro proponendo un momento di aggregazione “spontanea” venuta a mancare a causa dell'inagibilità degli spazi pubblici. I primi passi sono stati mossi ricreando tante nuove, piccole agorà. Non a caso il TSA si fa promotore, da cinque anni ormai, anche di un altro progetto, “I cantieri dell'immaginario”: musica, teatro, danza e arti performative sono state ri-portate negli spazi culturali compromessi, nei siti un tempo crocevia di persone occupati poi da gru, impalcature e grovigli di cavi d'acciaio. Si tratta di un Festival estivo promosso dal Mibact e dall'assessorato alla cultura del comune di L'Aquila con l'intento di condurre, o meglio riportare i cittadini nel centro storico per ritrovare l'appartenenza alla città e il senso di una identità condivisa. Sono otto gli Enti che hanno favorito e sostenuto la nascita di questo progetto; otto enti culturali locali si sono fatti promotori dell'iniziativa, dalle Istituzioni musicali a quelle teatrali tra cui, ovviamente, il TSA. Il progetto è stato avviato nel 2012 e ha contato in tutto 26 spettacoli, 22 laboratori e oltre 200 artisti coinvolti in spettacoli e attività presentate in 8 piazze e 2 luoghi di spettacolo.
La vera mission dell'esperienza è stata, ed è, quella di valorizzare monumenti e luoghi simboli di un territorio attraverso la rappresentazione. Da qui appunto l'idea di un cantiere culturale di «natura multidisciplinare basato sulla centralità dell'incontro tra artisti e collettività» che permettesse un ritorno non solo in, ma verso la città. L'Aquila ferita si fa così palcoscenico diffuso e non più luogo d'abbandono. Gli spettacoli stessi diventano itineranti, ne è un primo esempio lo shakesperiano Troilo e Cressida presentato alla fine di luglio del 2012 con la regia di Andrea Baracco: lo spettacolo inizia e si conclude – anche simbolicamente – nella piazza del Teatro, passando per Piazza San Silvestro, ovvero un percorso in cui non solo si sviluppa la tragedia narrativa, ma in cui si assiste alla tragedia della realtà.
Questo basta a dimostrare quanto cultura e spettacolo facciano la loro parte in una situazione difficile, in cui tutto deve essere rimesso in piedi e tutto deve ripartire. Lontani da qualunque concetto di intrattenimento fine a se stesso, dobbiamo parlare di un fenomeno teso alla partecipazione a alla condivisione. È come se il terremoto, nel suo radere al suolo gli edifici più fragili, avesse concesso l'occasione per tornare allo stato più autentico delle cose; il teatro ha liberato una forza centripeta trovando almeno una delle traiettorie possibili per tornare dentro la città, ma soprattutto a contatto con i simboli che la definiscono per potersi in essi riconoscere.
Laura Sciortino