Ecco per voi, come da tradizione, il nostro personalissimo "survival kit". Non un premio (ce ne sono già davvero tanti!) e nemmeno una di quelle divertenti e tanto criticate classifiche con relative stellette (non ci sono più!). Niente di tutto ciò. Altre Velocità, a fine anno, tira giù un piccolo elenco di spettacoli, libri, progetti, persone, da non buttare via, ma anzi da custodire e da portarsi dietro nell’anno nuovo. Lo fa per la Befana, mettendo per un attimo da parte le tonnellate di carbone e pensando ai Re Magi, che offrono i loro doni a ciò che nasce.
Quest’anno vorremmo, con le tutte le nostro forze, ritornare al futuro e segnalare spettacoli, progetti, persone, libri che ci aiutano oggi a guardare al nerissimo domani. Nella nostra valigia ci portiamo dietro burattini e marionette, come santi e santini di un popolo amico, progetti e spettacoli che provano adesso a interrogare con inquietudine il nostro presente, e il ricordo di persone che non ci sono più, ma che molto hanno lasciato. Il nostro piccolo "survival kit" ci vorrebbe servire a pulirci gli occhi, a guardare i segnali del futuro che provengono dai piccoli incendi del teatro, inchinandoci al sempre grande Artaud. Essere crudeli, crudelissimi. Anche perché è così difficile uscire dai solchi già noti, dalle strade percorse mille volte. Ci proviamo. Buon 2018!
1. Casavuota di Alessandro Berti
Casavuota di Alessandro Berti è un appartamento in via San Felice a Bologna. A cadenza irregolare, si può salire a casa del regista e attore reggiano e accomodarsi in una grande stanza mansardata, vuota di mobilio e riempita di sedie, lo stesso luogo che ospita anche laboratori di recitazione. Se non fosse stata rubata dalle mode del progettese culturale diremmo “resilienza”, ma forse oggi è bene dire solo “teatro”: quello spazio nel mezzo fra qualcuno che ha qualcosa da dire e qualcun altro che vuole ascoltare, quello spazio che oggi nasce e rinasce in diverse circostanze spesso senza teatri, senza finanziamenti, senza “progetti”. In queste rinascite crediamo si celi una possibilità per il futuro: quando si azzera e si riparte si portano infatti con sè solo le cose davvero indispensabili...
2. Progetto T di Associazione Teatrale Pistoiese / gli Omini
Un progetto stratificato, calato in un’approfondita ricerca sul campo. Il teatro de Gli Omini, attraverso una pratica d’indagine territoriale ormai in attivo da anni, qui inscritta in un programma a lunga gittata con l’intento di riscoprire la linea ferroviaria Transappenninica e conoscere i luoghi circostanti, i loro paesaggi umani, ha continuato a nutrirsi di veri e propri atti d’ascolto. Ponendoci al fianco delle vite e degli immaginari plurali che popolano e modellano parte del nostro territorio. Un’immersione nel “tempo presente” agita senza mai schivarne gli aspetti piccini, le contraddizioni, i balli in maschera e la possibilità di riderne, irriderli, con una punta d’amaro in bocca, e di tenerne memoria.
Pensiamo che la galleria di personaggi del Progetto T sia uno dei patrimoni del teatro italiano degli ultimi anni. Un teatro capace di guardare fuori da sé (ci riescono in pochissimi) approssimandosi all'altro da sé senza snaturarsi, altra cosa rarissima. Gli Omini hanno messo alla prova il loro metodo drammaturgico antropologico in alleanza con un centro di produzione, l'Associazione Teatrale Pistoiese, che ha commissionato il progetto di ricerca e produzione. Se dovessimo esemplificare l'idea stessa di “finalità pubblica” non avremmo in mente un esempio migliore, almeno nel teatro recente.
3. Patrizio Dall’Argine e il burattino
Il Manuale per un burattinaio di Patrizio Dall’Argine è stata tra le letture più affascinanti dell’anno. Un libriccino di nemmeno cento pagine che ci porta con leggerezza a spasso a Vianino in Valceno, una valle tra Emilia e Liguria, e dentro i segreti dell’arte del burattino. Dall’Argine, ideatore del Teatro Medico Ipnotico, capace di “ipnotizzarci” con i suoi spettacoli, ha il grande merito di riportarci alle origini dell’arte scenica e di farci assaporare la freschezza di una delle sorgenti del nostro immaginario: «Il burattinaio innalza le braccia in un atteggiamento di preghiera, di allontanamento da sé. Liberando il burattino dalla gravità umana, ne deve inventare una nuova, stabilendo con il pubblico la convenzione della linea di terra, ovvero la barra che nasconde l’animatore». Sempre antico, sempre nuovo.
4. Eugenio Monti Colla e la marionetta
Eugenio Monti Colla se ne è andato a 78 anni. Erede della grande tradizione familiare di marionettisti, era l’ultimo ad avere lavorato nel mitico Teatro di San Girolamo, chiuso nel 1957 (e riaperto solo nel 2016). Ha portato l’arte della marionetta nel mondo con una grazia e una professionalità straordinarie. Ha realizzato con i suoi fidati collaboratori decine e decine di spettacoli che hanno sempre avuto il merito di risucchiare lo spettatore in un mondo incredibile, archetipico, immaginifico. Tutti, almeno una volta nella vita, dovrebbero far esperienze di un simile teatro, grandi e piccini. Si vive meglio.
5. Overload di Sotterraneo
Claudio Cirri di Sotterraneo ci chiede di fare “come se” lui fosse David Forster Wallace. La scrittura a incastri quasi partecipativa di DWF si trasla in una rappresentazione depotenziata: personaggi che dicono di essere quello che non sono, intrecci narrativi spezzati interrotti e frammentati, storie che vorrebbero iniziare ma non possono perché noi spettatori non lo permettiamo più: possiamo infatti interrompere e cambiare scenario usando dei cartelli che ci vengono mostrati, dei corrispettivi dello scroll su un social network. Non vogliamo forse perché non riusciamo. Allora nel fastidio quasi fisico che questi frammenti di frammenti fanno scaturire, la carta finale che ci vien proposta è la messa in scena una morte, la propria, quella di un gruppo di amici, di artisti e teatranti ultratrentenni. Stanno guidando il furgone dopo una replica ed escono di strada. Si resta paralizzati: finalmente qualcosa di lineare, qualcosa di “vero” (più finto del finto, dunque). La fine del teatro, la fine dell'arte, quella ci tiene attaccati alle sedie. Ma non va a finire per nulla bene.
5. MigrArti Spettacolo 2017 – La cultura unisce (MiBACT)
È uno dei progetti più interessanti e innovativi di questi ultimi anni. Mettere assieme realtà teatrali e associazioni impegnate nel sociale non è per niente facile. MigrArti è una spinta per mettersi in moto, creare relazioni tra mondi diversi, porsi domande urgenti e soprattutto guardare al nostro paese in modo nuovo. È la cultura che traina e che viene messa al primo posto, ed è questo il cambio di prospettiva necessario e radicale. I cinque progetti presentati a Pistoia in occasione del Premio MigrArti (Enea in viaggio, regia Emanuela Giordano, Teatro di Roma; Lotus di Nexus e Ass. Tamil di Italia; Sommossa di un’umanità imprevista di Pav con Asinitas; C.Arte d’imbarco. Siamo tutti in viaggio di Carovana SMI con Tric Sardegna Teatro; Better Davis di Piccola Orchestra di Tor Pignattara) hanno dimostrato l’enorme novità che potenzialmente porteranno le seconde generazioni. Uno scarto ulteriore alle esperienze storiche di teatro sociale. Guardare al futuro, che è già presente. La prossima “avanguardia” passerà di lì.
6. Alessandro Leogrande: aprire la testa
Ci ha lasciati improvvisamente, a soli quarant’anni. Abbiamo letto sempre le sue inchieste, i sui saggi, i suoi editoriali politici. Sapeva essere radicale e sempre molto chiaro, preciso, limpido. Tra i suoi tanti interessi c’era il teatro, che seguì in maniera intensa soprattutto nei primi anni del duemila, quando la scena era in grande fermento. Sapeva analizzare il singolo spettacolo e riportarlo all’interno di un quadro culturale e politico più ampio. Sembra facile, ma in pochi ci riescono davvero. Alessandro ci riusciva sempre con grande intelligenza.
Nel 2002 Leogrande fu per alcuni giorni direttore del “Giornale del Festival” a Santarcangelo. Mandò una lettera bellissima di saluto a tutta la redazione che finiva così: “Il teatro non è una campana di vetro slegata da tutto ciò che teatro non è. Fosse davvero così, sarebbe troppo facile e troppo sterile. Meglio guardare al teatro (da spettatori, giornalisti, critici,…) come a un’arte al fianco di altre arti. E guardare alle arti come legate (e nella consonanza e nella dissonanza) al mondo, alla società e alla sua cultura: ora espressione del mondo e della sua cultura, ora critiche del mondo e della sua cultura, ora volutamente distanti/lontane dal mondo e dalla sua cultura. Bisogna farsi critici generali, o almeno provarci”.
7. Polski Theater in the Underground
All’inizio era una semplice pagina Facebook, che riuniva il malcontento di spettatori e artisti del Polski Theater di Wroclaw nei confronti del nuovo direttore, figura vicina al partito di estrema destra che guida la Polonia. Poi è diventata una protesta di piazza, un movimento, un vero e proprio circuito alternativo che produce spettacoli e si pone come fronte di resistenza verso le politiche repressive del governo. Per noi un simbolo, di come si possa “fare rete” e allo stesso tempo costruire comunità solide, radicate e artisticamente contro.
8. Il teatro ragazzi
Nel territorio del teatro ragazzi italiano ci si muove da Castiglion Fiorentino a Vimercate, da Bari a Milano passando per Parma, Bologna, Lecce, Casalecchio di Reno, Mantova e altre città che si stanno battendo, con i loro operatori teatrali, per rifondare un legame profondo fra arte e infanzia, sollecitati e seguiti da vicino dagli scritti di Mario Bianchi e del suo portale Eolo. A noi piace pensare che questo legame spinga a guardare all'origine del fare arte, invitando gli artisti a porsi le domande della crescita. Là dove la finzione viene presa ancora sul serio, e può divenire scintilla di mutamento, pungolo di avventura, esperienza di condivisione. Dovremmo tenerci stretto questo territorio, geolocalizzato sulle nuvole.