C.Re.S.Co., un coordinamento per la "scena contemporanea" hello
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Dal 2 al 4 settembre 2010 si è svolto a Bassano un incontro allargato a una cinquantina di operatori teatrali che ha dato vita al Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea (C.Re.S.Co.), frutto di un percorso di incontri avviato al Festival Kilowatt 2009. Ad accompagnare il dibattito una serie di materiali scritti prodotti nell'arco di un anno da un nucleo ristretto di lavoro, ideale base teorica e concreto bagaglio di azioni pratiche. Tale documento è stato discusso, modificato e sottoscritto, per ora, da 47 persone che a vario titolo organizzano rassegne e dirigono festival.
In estrema sintesi, possiamo indicare tre macroaree attorno alle quali si concentra il documento, e che quindi orienteranno anche le azioni del nuovo Coordinamento.
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Aggiornare il sistema di finanziamento dello spettacolo dal vivo, chiedendo trasparenza alle Regioni in merito agli atti normativi emanati e rendendo accessibili i dati. Si chiede di rendere efficace l'attività degli Osservatori dello spettacolo, in particolare riferimento ai soggetti finanziati storicamente, che andrebbero salvaguardati facendo in modo che non rappresentino barriere per i nuovi ingressi. Per fare ciò ci si domanda come intervenire in modo da giovare a tutti, e s'individuano nella defiscalizzazione (l’abbattimento delle aliquote Irpef, l’esenzione ai fini Iva), negli incentivi ai fini previdenziali, nella deducibilità di determinate spese proprie dell’attività caratteristica di spettacolo alcuni possibili strumenti. Tornando agli osservatori e al sempre discusso parametro della “qualità”, si sottolinea un'eccessiva frammentazione e confusione nelle forme di stabilità “pubblica” e “privata”, proponendo così di adeguarsi al modello francese: selezionare un numero ristretto di Teatri Nazionali, tutto il resto resti privato.
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Fare in modo che la legislazione riconosca specificità e caratteristiche proprie al lavoratore dello spettacolo, producendo uno studio di settore commissionato alla Fondazione Fitzcarraldo.
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Impegnarsi a sottoscrivere una sorta di deontologia professionale, basata su alcune linee generali (attenzione al pubblico e all'artista, per favorire la crescita della «Scena Contemporanea») e su alcuni principi pratici (trasparenza verso le compagnie, correttezza amministrativa e in generale orientamenti “etici” finalizzati a una corretta gestione, come il rifiuto della logica degli scambi).
Vorremmo qui proporre una serie di annotazioni alla luce del documento, dopo avere partecipato alle giornate di Bassano su invito degli organizzatori. Le seguenti note sono da intendersi come appunti di lavoro, osservazioni in merito a un percorso che è allo stato nascente e che quindi andrà sicuramente seguito con attenzione.
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Più volte, durante il convegno, è stata evocata la formula di «Scena Contemporanea». Una sorta di macro-area utile per sgrossare l'ambito di riferimento delle realtà riunite, sulla quale però si è deciso di non entrare nel merito. Cosa è questa scena contemporanea? Si tratta di un orizzonte culturale, relativo a opere e spettacoli? O piuttosto di pratiche e percorsi che orientano le programmazioni di chi dirige teatri e rassegne? A Bassano non ci si è preoccupati di definire, e forse con qualche ragione. Ma nemmeno si è entrati nel merito delle pratiche dei singoli, semplicemente accomunati da un'etichetta che andrebbe verificata caso per caso. Decidere di non interrogarsi sulla propria identità, però, rimanda una discussione che dovrebbe stare alla base del percorso.
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Ugo Bacchella di Fitzcarraldo, nella sua relazione, affermava che il peso politico della scena contemporanea è nella società attuale irrilevante. In nessun momento, durante il convegno, ci sono stati accenni di discussione interna in relazione a una legittimazione evidentemente da ricostruire. Chi dirige festival o teatri, oltre a pensare che la società lo avversi, gli impedisca di lavorare, si pone mai domande sul proprio operato? Siamo insomma disposti a metterci seriamente in discussione, capendo perché non esista legittimazione e come fare per recuperarla? Ma anche, e scendendo nello stesso terreno di rivendicazione: nel momento in cui si chiede trasparenza a un'istituzione, o si progetta uno studio di settore per fotografare i lavoratori dello spettacolo, si è disposti a mettere in campo la stessa trasparenza nei propri ambiti, nelle proprie strutture? Perché non rendere pubblici, per esempio, i bilanci annuali delle strutture che aderiscono al coordinamento?
A Bassano non ci sono state discussioni in tali direzioni. Tornando alla legittimazione, se questa manca, sarà difficile costruire un orizzonte di pratiche che si pongano obiettivi di mutamento, per giunta diretti a incidere sulla stessa legislazione; d'altro canto, se manca un orizzonte culturale condiviso, appare ardua anche la strada di un movimento di pressione, in grado di produrre pensiero e non solo rivendicazione;
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C.Re.S.Co. è un coordinamento di operatori, a Bassano sono stati invitati giornalisti e critici, con la previsione di aprire ulteriormente agli artisti in una fase successiva.
A un artista chiediamo un discorso che sappia essere culturale, chiediamo una visione sul mondo un po' più lucida degli altri. A un operatore di creare connessioni, di saper vedere dove sta l'arte, e di trovare equilibri di volta in volta diversi fra un pensiero “massimalista” e i progetti concreti, vale a dire quello di piccolo che quotidianamente si può fare. A Bassano non si è mai tenuto in considerazione l'orizzonte dell'arte, né le sue domande. Crediamo che artista e operatore debbano per forza porsi domande affini, e che le domande dell'uno debbano scorgersi in quelle dell'altro e viceversa. Ma senza l'arte risulta arduo dialogare sulla sua “parte”.
In conclusione, è un movimento? O un comitato che rivendica diritti di categoria? Per adesso prevale la seconda. Un’azione solitamente prevede una qualche efficacia concreta e le proposte per adesso paiono un po’ generiche e lontane anni luce dal poter essere realizzate (e alcune sono pure discutibili); ma questo non sarebbe di per sé un problema, perché le battaglie si combattono anche sapendo di perdere. Però il piano di discussione rischia di rimanere molto interno e introflesso in questioni di categoria necessarie, ma non sufficienti: all’operatore teatrale, qualunque sia la struttura di riferimento, è data una funzione pubblica. Non si può rinunciare perciò a una dimensione critica e culturale: ogni gesto è politico. Se la messa a fuoco del proprio ruolo all’interno della società, di questa società, oggi, rimane disattesa, o peggio sospesa nell’ambiguità perché non realmente ricercata, allora l’occasione persa sarà la riprova di un non essere all’altezza dei propri tempi, che in effetti sono drammaticamente difficili.
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