Necessità dell'atto e diritto all'azione, di Claudio Morganti hello
Published Date: 0000-00-00 00:00:00
È un vecchio espediente quello di partir dai dizionari per attaccar discorso, o briga.
Ma è utile, "marcia" come dicono i francesi.
Dunque, a mo' di profilassi, è necessario anteporre al ragionamento che seguirà (altrimenti e meglio detto "pensata") un paio di cose (la scelta del generico termine è intenzionale).
Cosa n. 1
Riflettere sulla differenza dei termini "azione" e "atto" contro la sinonimìa che la lingua ostinatamente vorrebbe.
Cosa n. 2
Riflettere sulla differenza dei termini "teatro" e "spettacolo" contro il pernicioso buonsenso che il buonsenso stesso vorrebbe.
Aiutino per la Cosa n. 1
Azione: ogni comportamento umano volto al conseguimento di uno scopo.
ma anche : lo sfaccendare
Atto: la fallimentare ed ostinata ricerca dell'attimo (aiòn), perorazione.
(Bene, saccheggiato Carmelo e dizionario, andiamo avanti...).
Aiutino per la Cosa n. 2
Tabella delle macroscopiche differenze che intercorrono tra Teatro e Spettacolo (immagine a fondo pagina)
(Ed ecco, saccheggiato me stesso)
Le due dicotomie succitate si sovrappongono ed aderiscono in pieno con il concetto di netta separazione tra "esigenza politica" ed "esigenza estetica" espresso da Graziani.
(Rivolgerei comunque uno sguardo esteticamente benevolo a Fidel. Infatti, come si può facilmente notare, i capi dittatori e\o con tendenza dittatoriale, nelle occasioni pubbliche e nelle situazioni di emergenza, tendono a travestirsi. I travestimenti vanno dal cappello da pompiere o ferroviere al copricapo sioux, alla tuta mimetica, ai tristi connubi turbante-occhialoni gialli.
Evidentemente l'embargo e l'estrema vicinanza geografica con un nemico così strapotenete, ha fatto sì che Fidel si sentisse
sempre in una situazione di emergenza. Ma il tratto comune che lega i travestimenti del potere è una sorta di sconcertante tamarraggine e il travestimento di Fidel mi sembra si possa considerare tra quelli esteticamente dignitosi)
Sono peraltro pienamente d'accordo anche sulla
quaestio porci.
Quel che non mi sento di condividere è il paradigma secondo cui la cantina è un mezzo ed il palco (inteso come stabilità economica) dovrebbe essere il fine.
Adoperare la cantina ed il concetto di ricerca come trampolino per ottenere la direzione di un teatro stabile è un po' come usare le sezioni di partito con lo scopo di sedere un giorno in parlamento.
Per chi osa fallire il teatro, lo scopo dovrebbe essere unicamente la vicinanza con esso.
Sono certo che è più adatto un piccolo e protetto spazio che non uno di quei bizzarri edifici pieni di gente con la tosse (le italiche pergole).
In fondo si tratta di un problema di vettori.
Sono i soldi che devono andare verso chi ricerca e non viceversa.
Dunque per parafrasare Buchner "Fuoco alle pergole e pace alle cantine!"
Infatti,
come si evince dal punto 2 della
tabella delle differenze, il teatro chiede luoghi chiusi, disperatamente tesi verso i sempre meno possibili buio e silenzio, luoghi chiusi, cantine o altro che siano.
Il teatro non sopporta la luce del sole nè l'aria sulla pelle.
C'è un tempo per ogni cosa, si usa dire, ma anche uno spazio. Un tempo e uno spazio per l'atto, un tempo e uno spazio per l'azione.
LA DEMOLIZIONE PIANIFICATA E DICHIARATA.
Quando ormai tre anni fa, di fronte a una non so quale platea di fans, il ministro Brunetta, con gesto prettamente "spettacolare" digrignò "...e noi gli chiudiamo i rubinetti!" (raccogliendo peraltro un'ovazione) avremmo dovuto ben capire a cosa si andava incontro.
Col teatro si chiude, basta con i tentativi di sovversione degli spiriti, ve la diamo noi l'arte!
Si tollereranno unicamente redditizie manifestazioni spettacolari (cultura).
La decimazione-stillicidio che sta subendo il teatro ha il sapore di una persecuzione.
Gli operatori dello spettacolo al muto grido di “meglio poco che niente" non sembrano voler reagire.
E gli operatori del teatro? Come si risponde ad una persecuzione?
Sarebbe opportuno contenere i gesti, non platealizzare, poichè le cose oggi vanno male, ma domani potrebbero andar peggio. Bisognerebbe cercare luoghi protetti dove riunirsi, studiare, ostinarsi intorno ai concetti che sottendono l'idea di teatro, tentare l'atto, osare quel rito che può essere solo speciale, particolare e circoscritto, mai globale.
Poco esporsi per poter eventualmente un domani dar miglior spazio alla strada e all'azione.
Auspico la nascita di gruppi di studio e di lavoro che, come l' LGSAS (libero gruppo di studio d'arti sceniche), siano autogestiti (colletta) e non ufficialmente costituiti.
...echecchè! Forse che anche i teatranti non hanno diritto ad una privacy?
Quando posso, leggo in pubblico il
Woyzeck di Büchner.
Mi piace sempre terminare con un pezzo di una lettera che Büchner, latitante, scrisse ai suoi genitori.
Anche qui, così termino:
“
Si rimprovera ai giovani l'uso della violenza. Ma non ci troviamo forse in una eterna situazione di violenza? Poichè siamo nati e cresciuti in carcere non ci accorgiamo più di stare in galera, con mani e piedi incatenati e un bavaglio sulla bocca. Ma che cos'è che voi chiamate una situazione legale? È una legge! Una legge che fa della gran massa dei cittadini bestie da soma per soddisfare i bisogni snaturati di una minoranza insignificante e corrotta.
Questa legge, sostenuta da una rude forza militare e dalla stupida furbizia dei suoi agenti, è una eterna, brutale violenza arrecata al diritto e alla sana ragione, e io la combatterò con la bocca e con le mani dovunque potrò".
Claudio Morganti
COMPAGNIE
IMMAGINI