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Il numero degli iscritti era più alto dei posti disponibili, al laboratorio Allenare lo sguardo condotto da Massimo Marino. Una ventina sono stati selezionati e hanno partecipato ad alcuni fitti giorni di spettacoli, discussioni e scritture che sono ancora in corso sul sito http://startupteatro.wordpress.com.
Ci piace ripartire da questa nota per la seconda corrispondenza da Taranto, dopo che il progetto Startup Teatro del Crest si è concluso da alcuni giorni con tutti gli spettacoli della sera praticamente esauriti e con incontri mattutini molto partecipati. Startup è stato un festival che ha messo al fianco proposte di teatro d'attore con opere performative o di danza, perché non è nella definizione linguistica che va cercato un senso ma nella lucidità delle domande che si pongono al mondo, da orizzonti disciplinari diversi. Ovviamente questo vale solo se alla parola festival si vuol far corrispondere una ricerca e non una confezione.
Il Teatro TaTA' al quartiere Tamburi di Taranto
Così, al racconto d'attore in piena tendenza “civile” di Armamaxa (Croce e Fisarmonica, sulla biografia di Don Tonino Bello), ha fatto eco l'utopica volontà di liberarsi da sovrastrutture di ResExtensa. In Quintessenze, la pienezza comunicativa sembrava andare in una direzione opposta: nella pervasiva colonna sonora che conferiva un inevitabile colore ai fraseggi; in una certa enfasi gestuale e mimica, un incedere solitario dei corpi di cinque danzatori in cui risultava difficile non pensare alle solitudini “sociali” dell'oggi, non immaginare una comunicazione interpersonale spezzata osservando sequenze di coppia che divenivano prese, avviluppi, cadute. A Taranto abbiamo visto uno studio mostrato in pubblico per la prima volta e che chiedeva l'interlocuzione critica dei presenti, come ha affermato la coreografa Elisa Barruchieri a fine pezzo.
Startup ha avuto anche il merito di mostrare uno spaccato di un progetto come Teatri del Tempo Presente, percorso del Mibac in cui alcune regioni si sono associate per selezionare compagnie e spettacoli da far circuitare in Italia. Osservandoli, si può forse misurare il polso sia della ricerca sia di chi la sostiene e la organizza. Seguiremo da più vicino l'intero progetto, basti per adesso notare come il dotarsi di parametri eccessivamente generici lasci spazio a diversità di percorso forse troppo evidenti (cercando spettacoli prodotti da formazioni under 35, inediti o che abbiano avuta scarsa visibilità, si trovano gruppi davvero all'inizio così come formazioni con oltre dieci anni di produzioni alle spalle). In questo contesto, L'uomo perfetto della Cassiani è una passerella di gesti pose tic di un ragazzo tipo e del suo omologo femminile, passerella che dovrebbe dirci dell'odierna commedia umana, dell'incomunicabilità massmediaticamente elevata a “stile”. Ma nel fotografare con una certa precisione tutte queste cose lo spettacolo finisce per rappresentare più che altro una maniera della scena: assenza di conflitti e di azione virata in contemplazione, accontentandosi (pare) della descrizione.
Startup è stato anche luogo in cui incontrare la vertigine, quando l'arte s'innalza verso ciò che travalica il quotidiano. Così fa Mimmo Borrelli, autore che negli anni ha coltivato una scrittura di origine arcaica e in risonanza con l'attualità. L'impasto linguistico flegreo, mai del tutto comprensibile, sposta l'andamento del racconto verso una ritualità non quotidiana (nemmeno nella sua versione regionale), mentre le sue fabule riecheggiano miti, simbologie pagane, credenze popolari.
Mimmo Borrelli, Malacrescita
Malacrescita è la vicenda di una ragazza cresciuta prematuramente per colpa del malaffare maschile, è il racconto del suo farsi donna e amante, della sua maternità ricercata e rifiutata. Solo in scena, in una cerchia di bottiglie che diventano un altare costellato di fiori di plastica, di casse d'acqua vuote e tinozze di latta, Borrelli sembra essere condannato, da attore, a raccontare la storia del suo personaggio, declinando la voce in richiami di piazza, in tragedie sussurrate in falsetto, grattandola in un roco urlato di figure maschili che tutto schiacciano. Su un lato del palco un musicista punteggia il suo dire con xilofoni e altri strumenti dalle timbriche tenui, in una disposizione musicale che richiama certi teatri orientali. Un vestitaccio liso sule ginocchia ci ricorda quel femminile sempre tenuto di fronte a sé, sia dal personaggio che dall'attore, e che ci trascina con violenza in una immedesimazione potentissima per tanta alterità ma che non si produce mai fino in fondo, lasciandoci vigilmente frastornati. Anche per questo, Malacrescita restituisce un senso di combattimento molto raro, sospeso come è fra la presenza sulla scena di Borrelli (attore-autore come ce ne sono pochi oggi in Italia e sicuramente avvicinabile a un'altissima tradizione di solisti) e il destino tragico del personaggio, una madre che rifiuta i suoi figli, donna con un padre criminale ora moglie di un camorrista. Il coltello gira in una piaga di strofe in cui le gatte divorano i figli, in lamentazioni di guerre in cui non ha senso salvarsi da soli (quel Neiwiller evocato anche nella presentazione del festival?). Fino alle «secche d'amore» dei versi finali, che ci consegnano un mondo senza più nessuna speranza.