Portatori di una peculiare forma scenica sono anche i Quotidiana.com, che a Primavera dei Teatri hanno mostrato il primo capitolo della nuova trilogia dal titolo Tutto è bene quel che finisce. In questo spettacolo i due interpreti esordiscono interrogandosi sulle morti necessarie, quelle utili ai fini di un miglioramento sociale a cui si suppone aneli l'intera comunità – culturale, politica, sociale. Paola Vannoni e Roberto Scappin proseguono nella loro ricerca, fatta di ritmi ben scanditi e battute attentamente calibrate, un sapore cinico e surreale, un ostinato rimprovero al mondo circostante fatto a mezza voce ma spietatamente. Il loro teatro, che dagli esordi a oggi approfondisce uno spazio drammaturgico di combattimento, che mette in scena un simbolico duello tra attori e tra attori e pubblico, prova ora a rinnovarsi, introducendo di sottofondo al dialogo una muta coreografia che sa accentare i punti del discorso, innestando alle parole nuovi materiali, suoni, dettagli di costumi e aperti colpi di scena, ma soprattutto i due non guardano più solo il loro (e il nostro) fuori, ma provano ad andare all'interno di loro stessi, analizzando il loro stare nel teatro, rivelandosi nei propri confronti non meno lucidi che con “gli altri”, interrogandosi sulla propria «indifferenza affettiva senza scampo».
In tutto questo risuonare di morti, suicidi, risate a denti stretti o a bocca spalancata, nei meandri di un teatro che vede artisti pronti a modificare le proprie consapevolezze pur di sperimentarsi e fare un passo oltre, capita dunque di vedere opere più o meno smagliate, con inciampi piccoli o grandi, ma certamente si tratta di compagnie desiderose di rischio e che dunque lavorano per incrementare un'idea, una visione legata al proprio stare nel teatro.
Esistono però gruppi che affondano la loro presenza in una mera presentazione di se stessi, dimenticandosi per esempio la differenza fra pensiero e persuasione, fra attivazione e seduzione.
È il caso di Carrozzeria Orfeo, che con Thanks for Vaselina ha strappato al pubblico di Castrovillari un clamoroso applauso finale. La drammaturgia, scrittura originale di Gabriele De Luca, anche attore in scena, è un'esplosione tragica di fatti e azioni: due amici, Fil e Charlie, coltivano marijuana in casa per spacciarla e guadagnarsi da vivere; la madre di Fil è dipendente dai giochi elettronici, mentre suo marito è scappato anni addietro dalle responsabilità famigliari, e compare nel mezzo del racconto trasformato in transessuale; dopo l'operazione, il padre è stato accolto in una setta religiosa che, al termine di un accurato lavaggio del cervello, lo aveva convinto a lasciare in eredità ai leader del movimento i propri beni immobili, sapendo che si sarebbe presto suicidato in massa con i suoi devoti compagni; altro personaggio in gioco è Wanda, una ragazza troppo grassa e ingenua per essere in grado di suscitare attrazione nei suoi coetanei.
Questa drammaturgia, oltre a quelle accennate, mette in fila una rocambolesca sequenza di avvenimenti narrati in poco meno di due ore; l'invenzione di una storia, di un mondo e di ingegnose assurdità è cosa legittima, e da una scena all'altra non possiamo dire che il plot non sia avvincente, ma quello di cui sentiamo la mancanza è un pensiero attorno a quanto narrato: lo sforzo drammaturgico sembra tutto rivolto al risalto delle azioni sorprendenti, a quanto di funambolico accade ai personaggi. Dalla transessualità alle dipendenze, al rapporto tra sessualità e handicap, i protagonisti di questa vicenda sono portatori di differenze sociali su cui si potrebbe riflettere in ogni tempo e luogo, ma nessuno prende posizione di fronte alle stranezze a cui assistiamo. Nessuno reagisce ai traumi proposti dal racconto. E allora a che cosa dovrebbe reagire lo spettatore, se non al ritmo incalzante, allo humor o al crescendo di una situazione sempre più assurda?
[Thanks for Vaselina, Carrozzeria Orfeo, ph Angelo Maggio]
L'impressione è quella di un buonismo generale, che tutto abbraccia e niente esclude, e quindi di una tolleranza massima a ogni gesto imprevisto. Viene così a mancare un punto di vista che sia in grado di attualizzare scenicamente una possibile realtà, oltre che raffigurarla in una narrazione. Carrozzeria Orfeo si rivela attenta a trarre dal presente e dalla cronaca tanti punti di conflitto, ma il suo pensiero non sembra trasparire chiaramente. Ogni differenza (sociale, psichica) è accentata da un colpo di scena, al quale fa seguito un istante di sconcerto realizzato in maniera da risultare comico. Questo procedere livella i tanti contenuti presentati, costruendo un organismo in grado di fagocitare ogni anomalia che, una volta risucchiata, viene come dimenticata, sostituita da un nuovo colpo di scena. Così i fatti scorrono, il pubblico assiste partecipando all'ironia dei fatti e appoggiandosi al ritmo incalzante dello spettacolo, e gli attori appaiono imperturbabili.
Altro elemento che ci fa sorgere un dubbio è proprio il lavoro attoriale, imperniato attorno a un processo di immedesimazione che non consente scarti, cancellando la presenza e il pensiero degli attori. Anche nelle più classiche messe in scena della prosa, quando si considera che il personaggio sia tutto e chi lo interpreta funga da medium, esiste una luce personale che traspare, una connessione che permette allo spettatore di focalizzare la domanda o il pensiero che induce quel personaggio a vivere; in Thanks for Vaselina il processo di finzione ci immerge in una realtà parallela, dove l'attore non è più portatore di un mondo ma mero presentatore di un vissuto o di un linguaggio da cui non si lascia scalfire.
Esiste naturalmente la possibilità che, semplicemente, Carrozzeria Orfeo sia alla ricerca di un tipo di teatro che progetta una scatola chiusa, nella quale la storia possa realizzarsi e presentarsi senza colpo ferire. Ma allora che cosa può domandarsi lo spettatore, che cosa può scoprire? In che modo le avventure-sventure di questo quadro famigliare possono riguardarlo, al di fuori di un compiacimento per il lieto fine che verrà o per la seduzione morbosa che la storia trasmette?
Siamo dunque bombardati da questioni di per sé problematiche, ma non si attiva in noi alcuna domanda precisa; tante cose avvengono, ma non c'è tempo di reagire se non aspettando il prossimo colpo di scena. E rimaniamo a bocca asciutta anche su ciò che forse eravamo venuti a cercare: una visione, uno sguardo sul mondo che apertamente si dichiari, senza delegare così tanto alla coscienza individuale dei suoi spettatori.