Di solito nelle recensioni teatrali si svelano trama ed eventuali colpi di scena, senza tanti giri di parola. L’avvertimento “attenzione alto rischio di spoiler” lo si usa per il cinema o le serie tv, e quasi mai per il teatro. Perché? Vengono in mente almeno quattro plausibili ragioni: la convinzione che chi legge la recensione non andrà mai a vedere lo spettacolo; chi legge e va vedere lo spettacolo è molto probabile che abbia dimenticato pressoché tutto, a parte forse il giudizio complessivo (vale la pena o no); il coup de théâtre di per sé vale quanto una bolla di sapone, l’importante è come ci si arriva e come è inserito nel discorso complessivo, ragion per cui è necessario da una parte prenderlo in considerazione per una analisi critica e dall’altra va esperito direttamente per essere compreso; i casi in cui il plot narrativo (canonico elemento di spoiler) è determinante sono a dir poco residuali.
Premesso tutto ciò, ci sono momenti in cui viene però naturale trattenersi e dire pochissimo, più per una forma di pudore e di rispetto che non per fare la figura del guastafeste. Il progetto Demoni di Alessandro Miele e Alessandra Crocco è uno di questi casi. In particolare per il primo e il secondo “frammento”. Demoni – Frammento#1 _ MARIJA si è visto a Foligno, organizzato da quella nuova realtà (da poco ha festeggiato un anno), vivace e seria, che è Zut!, una piccola sala, allestita molto bene e curata nei dettagli da Zoe Teatro. Demoni – Frammento# 2- LIZA si è visto anche a Wam!, festival organizzato da In_Ocula, Iris e Menoventi, a Faenza. In entrambi i casi lo spettacolo non superava i sette minuti ed era ambientato nel silenzio di ampi e antichi saloni. Gli interni dei palazzi storici, spesso sconosciuti o inaccessibili, presentano sorprese meravigliose, soprattutto quando si respira l’aria del tempo e sembra, attraversando una porta, di entrare nei secoli passati. Le ampie scalinate del Palazzo Candiotti a Foligno e del Palazzo Ginnasi Ghetti a Faenza rendono l’entrata e l’uscita come un’ascesa o uno sprofondamento interiori. Poi ci sono le parole e i personaggi di Dostoevskij, talmente distillati da suonare semplici e da far vibrare archetipi letterari legati all’abbandono, al tradimento all’amore. Poi c’è un’attrice molto brava, e accade così di essere trapassati da uno sguardo e allo stesso tempo di poter osservare per pochi interminabili minuti le sfumature di un’anima, come accade nelle pagine dei grandi romanzi russi. E infine ci siamo noi (tu, io…), il pubblico, in entrambi i casi invitato a partecipare uno per volta, da soli, guardando e ascoltando non da spettatori, ma da personaggi; anche noi precipitati improvvisamente dentro la storia.