È uno sguardo intimo dove vero e finto si mescolano e combattono; ha la ferocia analitica utile per dire "io", ma possiede anche le accensioni visionarie necessarie per immaginare un “noi”; inizia con un filmino di famiglia, una bambina che canta C'era un ragazzo al Karaoke su uno shermo tondo sospeso. Quella bambina è Silvia Calderoni.
MDLSX di Motus si apre portandoci negli anni '80, esibendo quasi una carta d'identità dell'immaginario. Vien da pensare a certi tormentoni sui social quando lacerti di canzonette, jingle pubblicitari, sigle dei cartoni animati giapponesi vengono postati con un misto di fierezza e nostalgia come fossero i mattoni della nostra identità. Una certa retorica autoconsolatoria ci ha convinto che non si possa fuggire da ciò che siamo, e MDLSX di Motus potrebbe essere al contrario letto tutto nell'ottica di una contestazione, di uno “smontaggio” e di un rifiuto.
Di fronte a noi c'è Silvia Calderoni. Mentre ci racconta della sua adolescenza, la vediamo riprodotta in tempo reale sullo schermo. Parla cadenzando la voce, si gira di spalle per maneggiare una consolle, si muove con la naturalezza di chi racconta una storia in pubblico, sul confine di una presenza che non diventa mai del tutto personaggio né cede alla tentazione di dismettere del tutto i modi della rappresentazione. Ben presto però la realtà del racconto biografico sfrangia i suoi contorni, udiamo infatti parole e interi passaggi dal romanzo Middlesex di Eugenides, puntellati con gli statements del Cyborg Manifesto di Donna Haraway, del Manifesto Contra-Sexual di Beatriz Preciado e con altri ritrovamenti testuali che creano una feconda indecidibilità fra biografia dell'attrice e racconto finzionale. Anche la situazione scenotecnica “non bara”, dunque per farlo mente e adotta una forma al confine fra realtà e rappresentazione, quella di un dj/vj set: la Calderoni racconta quasi sempre di spalle, viene però ripresa in tempo reale dalla camera del suo smartphone che rimanda l'immagine del suo volto, permettendoci di vederla. Dal mito di Narciso all'epoca del Narcisismo (Lasch) contestandone però gli esiti, mettendo a punto una sintassi della scena a un tempo biografica e letteraria, una rappresentazione immersiva ma che lascia aperta una possibilità di fruizione critica.
Vediamo Silvia in un altro filmato di famiglia, ci viene spiegato che il suo dottore userà questa visita per diagnosticare il suo non essere né maschio né femmina; la udiamo pronunciare un credo sul nostro essere formati da innesti di parti diverse, e le parole di Eugenides nel suo discorso diventano leve per affermare l'impossibilità di dare nomi ed etichette alle cose: «Le emozioni non possono essere descritte da singole parole», afferma l'attrice, raccontando la pubertà, il desiderio che spuntino i peli sul corpo, lo strizzarsi i capezzoli per farli sbocciare, i viaggi lisergici del fratello refrattario ai valori della famiglia («i membri della mia famiglia hanno sempre avuto un certo talento nel trasformarsi»).
La seguiamo nelle sue proposte musicali, una playlist quasi tutta statunitense che intercala, spezza, evidenzia i passaggi del racconto; i titoli delle canzoni compaiono sullo schermo, così riconosciamo autori e band, seguiamo un discorso musicale che appare come ulteriore chiave di fuga verso un immaginario autonomo in grado di contestare sia il consumo discotecaro notturno sia la contro/sottocultura protestataria. I Dead Man Bones, i Vampire Weekend, The Dresden Dolls, gli Smiths accompagnano la crudezza di certe visioni, come quando l'attrice si denuda e si mette in posa da crocifissione efebica, oppure cosparge l'ambiente con lo spray di un flacone di lacca e si adagia senza abiti, lasciando che un laser le penetri il sesso scoperto. Col procedere del racconto i contorni fra biografia e finzione si fanno più netti, ora a parlare è Cal, protagonista di un “road movie” per le strade statunitensi dopo il cambio di identità da femmina a maschio come accade nel romanzo Middlesex. La Preciado, in una intervista video di Jodorowsky, ci ricorda che prima di poterci definire siamo definiti, mentre l'identità sessuale dovrebbe essere il frutto di una scelta. Cal viene assunta in un circo freak, messa a nuotare in una piscina ed esposta al pubblico ludibrio. Infine sceglie di tornare a casa, ridiventando anche “Silvia”; noi la vediamo infine ballare i Rem in video col padre.
Silvia Calderoni è qui straordinaria attrice, agitatrice musicale, narratrice, danzatrice, performer. “Semplicemente”, è in grado di assumere tutti questi ruoli, di indossarli e svestirsene, smussando con i Motus i confini fra finzione e realtà, mettendo in discussione gli orizzonti disciplinari, dubitando della possibilità stessa di dare forma a punti di vista stabilmente definiti, come accade da qualche tempo alle arti più inquiete, quando si va in cerca di una maggiore presa sul presente. Dall'autofinzione letteraria di stampo italiano (vedi Carlo Mazza Galanti) alla “Fame di realtà” di matrice statunitense e di provenienza giornalistico-letteraria (vedi David Shields: «Non sono io per davvero: è un personaggio ispirato a me che io ho inventato per illustrare le cose che voglio dire»). MDLSX riesce però anche a rinnovare le domande da porre al teatro, dialogando sia con la propria personale storia di compagnia (come non pensare all'irrequietezza del supereroe di Ics, all'Antigone dei primi Contest e ad altri “personaggi” della Calderoni, pur mai evocati in questo spettacolo?) sia con una più sotterranea tradizione del nuovo teatro che ci impone di ripensare a l'attore non è nient'altro che la sua autobiografia (Leo de Berardinis), al procedere per moltiplicazione di ombre di Carmelo Bene, all'analitico-patologico-esistenziale dei primi Magazzini. MDLSX di Motus è probabilmente un piccolo punto di non ritorno per trattare la materia autobiografica a teatro: si parte avendo contezza del Vangelo secondo me stesso del nostro presente (Giorgio Fontana), si mostrano le proprie carte biografiche sul tavolo, poi le si mescolano con riferimenti e frammenti finzionali creando un ibrido al contempo immaginario e reale, letterario e biografico, finto e vero. Si riconoscono e si evitano la mistificazione per eccesso di rappresentazione e l'illusione di realtà del puro racconto biografico. Si raggiunge un equilibrio instabile, credibile.
MDLSX fa pensare che ciò che siamo possiamo costruirlo, senza nasconderci dietro a immaginette nostalgiche, provando a svincolarci da narcisismi ed egostimi, ancorati alle esperienze individuali ma facendo di tutto per guardare a collettività possibili. Motus ci riesce, in un equilibrio instabile e credibile.
La foto in apertura è di Ilenia Caleo