Di Luca Ronconi, a un anno di distanza dalla scomparsa, si sente l’assenza. Nel teatro di regia italiano è naturale che non vi possano essere eredi, tutt’al più si affermano definitivamente altre figure con percorsi importanti, ma più circoscritti.
Per decenni Ronconi ha rappresentato un punto di riferimento per certi versi inamovibile, svolgendo un lavoro continuativo ed esteso anche di formazione per giovani attori. Se non ci sono eredi diretti del Ronconi regista, al contrario sono assai numerosi gli attori che si portano dietro un’esperienza più o meno lunga passata con il maestro. Tra l’altro gli ultimi anni sono trascorsi come fossero una nuova e inedita “primavera”; Ronconi li chiamava “i tempi supplementari della mia vita”, perché si sorprendeva lui stesso a trovarsi ancora in piedi e in forze, a dispetto dei molti interventi subiti e delle costrizioni della dialisi.
Il documentario di Jacopo Quadri sul Centro Teatrale Santacristina, La Scuola d’estate, restituisce l’esuberanza quasi fanciullesca di un anziano signore ottantenne, pochi mesi prima di morire, completamente rapito non dal creare regie, ma dall’insegnare a leggere e a recitare testi drammatici a un gruppo di attori. Fondato nel 2002 da Ronconi e da Roberta Carlotto, il Centro Santa Cristina si trova immerso nella campagna umbra e ha ospitato durante le estati decine e decine di giovani attori, provenienti da scuole di teatro professionistiche, in particolare l’Accademia Silvio D’Amico.
Il documentario, nato dalla meritevole azione dell’Associazione Ubu per Franco Quadri, che vuole portare avanti un bellissimo progetto di film dedicati al teatro, racconta da vicino il modo di operare di Ronconi che con impressionante energia agisce in continuazione come un vero e proprio “attore”. Per chi si immaginava un Ronconi freddo ingegnere delle strutture testuali questo “dietro le quinte” può rivelarsi sorprendente: Ronconi continuamente interrompe gli attori e lui stesso interpreta i testi, divertendosi moltissimo “a far tutte le voci”, a esplorare espressioni, intonazioni, enfasi, timbri, lasciando che l’intero suo corpo sia coinvolto in queste prove esuberanti e molto spesso esilaranti.
Le indicazioni su come leggere i testi, fornite agli attori, sono sempre, mescolandosi a tic, battute di spirito e gioia infantile, decisive e illuminanti. Ronconi sembra non sbagliare mai, è sicuro e rapido nell’individuare le caratteristiche del testo o le fragilità di una lettura.
Questo lavoro di Quadri è dunque prezioso, soprattutto per il primo piano che offre del regista. Non ci sono molte “dichiarazioni” di poetica o di teoria teatrale, ma le poche presenti sono importanti e convincenti. Si fa emergere il volto di Ronconi e si rinuncia un po’ al gruppo di attori, a cui si dà uno spazio ristretto, e tra i quali spiccano Fabrizio Falco e pochi altri. Ma non di questo si sente la mancanza, piuttosto sarebbe stato bello poter osservare – quasi spiare – qualcosa in più di questa relazione “pedagogica”. Il documentario è pieno di interessanti “segnali” di una complessità relazionale: Ronconi è figura di grandissima energia, una forte personalità, ma è anche “terrorizzante”, come tutti i “grandi”. Si accenna a qualche crisi e a qualche cedimento psicologico degli studenti, ma è evidente che dietro la pace del Centro Teatrale Santacristina è in corso una tempesta emotiva, che ha la brutalità delle cose importanti della vita. E chissà dove avrebbe portato l’inseguire questi occhi famelici, in movimento costante, quasi erotico, intorno ai cedimenti e alle malattie del corpo; che tipo di conflitto avrebbe generato osservare più da vicino la forza di una sete inappagabile, che sembra trovare conforto nell’energia della giovinezza e nello stupore delle cose che iniziano. Si preferisce rimanere sulla soglia, non tirando un filo drammaturgico – l’evoluzione di un conflitto –, ma ritraendo con pudore l’intelligenza e l’ironia contagiosa di un uomo che si è dato completamente al teatro.