«Questo è». Non c'è da scavare, non c'è da chiedere, non da girare intorno. «Questo è», ripete Antonio Rezza alla fine di ogni spettacolo: questa la scena, questo il corpo che l'ha abitata, questo il pubblico seduto in platea. Se ogni opera è un pacco da ricevere - e si può farne quello che si vuole (o che si può), gettarlo via, riporlo nel cassetto, rigirarlo tra le mani o decidere di scartarlo -
7-14-21-28 è un pacco-bomba fatto di carne, stoffa e metallo, segnalato dall'insistente ticchettio di un organismo in punto di deflagrazione. Il ritmo del cuore, del fiato e dello stomaco conducono la «danza macabra» dell'uomo scoordinato che tenta di ricostruire uno spazio su cui disseminare e memorizzare i punti di riferimento. Una cartografia ritmica che i corpi di Antonio Rezza e Ivan Bellavista disegnano avvitandosi e svolgendosi intorno alla struttura multiuso creata da Flavia Mastrella, che si ispira agli ideogrammi cinesi per costruire un surreale attrezzo ginnico dallo scheletro di altalena, dal quale si originano, ciondolano, si slacciano gli strumenti di tortura che deformano e mutilano il corpo: linee di drappi, corde e reti che si intersecano a creare uno spazio che è materia perforata, composizione per gli occhi cadenzata da vuoti e da pieni. In
7-14-21-28 l'aria si fa sempre più rarefatta e il lavoro, rispetto ai precedenti di Rezza e Mastrella, spicca un salto in avanti verso la pura ritmicità visiva e sonora. I micro-personaggi che emergono dall'habitat non hanno storia se non quella inenarrabile che parla al corpo, in cui la trama si smaglia e lascia spazio agli accenti, dove la retina e l'antro della gola assorbono la parola. Così, l'uomo della fabbrica produce il suono delle macchine oscillando violentemente su una mezzaluna di legno, un volto stretto in un velo assume fattezze orientali, una diabolica vedova in rosso conta i mariti morti, mentre tutto si trasforma in cifra da pronunciare ad alta voce, nel grottesco tentativo di rimettere insieme i pezzi di un «paese allo sbando». Ma non c'è rapporto con la Storia: le uniche relazioni possibili sono quelle analogiche tra i frammenti, come tra le parti di un ideogramma. Il senso sta probabilmente nel salto nel vuoto che le separa, il salto dell'acrobata che ferma lo scorrere del tempo in un eterno presente in cui non esiste possibilità di evoluzione.
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di Flavia Mastrella Antonio Rezza
con Antonio Rezza e con Ivan Bellavista, (mai) scritto da Antonio Rezza, habitat di Flavia Mastrella, assistente alla creazione Massimo Camilli, disegno luci Maria Pastore. Produzione Teatro 91 - Fondazione Teatro Piemonte Europa - RezzaMastrella